«Il cinema argentino è paralizzato: fare cultura è sempre più difficile»

C’è stato un tempo, ormai molto lontano, in cui l’Argentina era «terra promessa» per chi, dall’Europa, cercava una nuova vita lontano dalla guerra e dalla povertà. Basta pensare alla famiglia Bergoglio per capire di cosa stiamo parlando
Oggi, il flusso sembra invertirsi: sono gli argentini, spesso discendenti di quegli stessi migranti, a salpare verso il Vecchio Continente in cerca di stabilità e futuro, ultimamente spinti anche dal desiderio di libertà. Tra loro c’è Paula Orlando, produttrice esecutiva che lavora a Barcellona con la spagnola Fasten Films, giunta a Locarno come coproduttrice di The Birthday Party di Miguel Ángel Jiménez, il film interpretato da Willem Dafoe, Emma Suárez e Carlos Cuevas nato da una collaborazione internazionale e proiettato in prima mondiale tre sere fa sotto le stelle di Piazza Grande.
«Non avevo mai vissuto nulla di simile - racconta Paula Orlando - Presentare un film davanti a migliaia di persone, in un contesto così rilassato e allo stesso tempo attento, è qualcosa di irripetibile. È davvero una celebrazione collettiva del cinema».
Una preoccupazione forte
Dietro il sorriso e la passione per il mestiere, Paula nasconde tuttavia a fatica una preoccupazione autentica: quella di un’industria cinematografica nazionale ormai in ginocchio.
Fino a poco più di un anno fa, Paula Orlando viveva e lavorava a Buenos Aires, alla guida della propria società di produzione, con oltre tredici anni di esperienza tra cinema d’autore, documentari e serie televisive. «Non è mai stato semplice fare film in Argentina - spiega al Corriere del Ticino la produttrice di Buenos Aires - ma c’era un’attenzione politica che lasciava spazio alla cultura. Con l’arrivo di Javier Gerardo Milei alla Casa Rosada, quel margine è scomparso».
Il cambiamento seguito all’ascesa al potere del leader di La libertà avanza (Milei è stato eletto presidente dell’Argentina il 10 dicembre 2023, ndr).è stato infatti molto netto: i fondi sono stati bloccati e le politiche culturali smantellate in pochi mesi. «Il cinema, la scienza, l’istruzione… per me sono parte della stessa catena - dice Orlando - e oggi quella catena è stata spezzata. L’Instituto Nacional de Cine y Artes Audiovisuales è paralizzato: a sopravvivere sono poche grandi produzioni già sostenute da colossi dello streaming. Tutto il resto è fermo. E assieme al lavoro, che ormai manca quasi del tutto, si indebolisce anche la libertà di trattare temi come l’interruzione volontaria della gravidanza, i diritti della comunità LGBTQ+, la memoria storica del Paese. C’è una censura silenziosa ma molto efficace».
Servono anni per costruire un’industria, ma bastano pochi mesi e poche decisioni per comprometterla. «Quando c’è la volontà di demolire, si può fare in pochissimo tempo. Ricostruire, invece, è un processo lungo. Basta guardare al Brasile del dopo Bolsonaro: con Lula alla presidenza, il settore non è ancora tornato ai livelli di prima».
«Restare operativi»
Paula ha lasciato il Paese sfruttando la possibilità, ormai sempre più rara, di avere un passaporto europeo. Non si è trattato di un arretramento o di una rinuncia, ma di una scelta consapevole per continuare a battersi con strumenti concreti: restare operativa, mantenere un ruolo nel circuito internazionale, far sentire la propria voce.
«Molti miei amici registi oggi insegnano, fanno altri lavori, o girano film gratis chiedendo favori. Io volevo restare nel cuore della produzione, con la possibilità reale di portare avanti i progetti in cui credo. Volevo continuare a raccontare storie, senza doverle piegare a una linea politica che non condivido».
In Fasten Films ha trovato un ruolo che le permette di incidere sulle scelte artistiche. «Non è la mia compagnia, ma posso decidere, sviluppare, costruire. Sto lavorando a un film tratto dal Candido di Voltaire, in coproduzione con una grande società francese, e a un progetto del regista messicano Samuel Kishi, autore di Los Lobos. Sono due storie molto diverse, ma entrambe parlano di movimento: geografico, emotivo, esistenziale. In fondo, ogni film è un viaggio. E ogni viaggio insegna qualcosa che resta».
Sul lago Maggiore, nelle notti di Locarno, il cinema si fa rito comunitario. Paula lo vive con la lucidità di chi sa di appartenere a due mondi: quello che l’ha formata e quello che ora le permette di lavorare. «Non vedo un ritorno vicino - ammette - Ma il cinema argentino ha radici profonde. Resisterà. Ci vorrà tempo, e molte mani pronte a ricostruire. Io, da dove sono, continuerò a farne parte».