Il cinema in Bielorussia, dove la libertà è fragile

In un Locarno Film Festival che sa accogliere storie lontane e vicine, White Snail di Elsa Kremser e Levin Peter ha trovato il suo spazio. Presentato in concorso internazionale, il film racconta l’incontro tra una modella bielorussa e un uomo solitario che lavora in un obitorio, due mondi opposti che si sfiorano e si trasformano, tra bellezza e caducità, desiderio e paura. Girato in gran parte in Bielorussia, il progetto ha attraversato dieci anni di gestazione e non pochi ostacoli, in un contesto politico in cui la libertà di espressione è sempre più compromessa e i diritti fondamentali messi in discussione.
«La proiezione a Locarno è stata emozionante, anche se sedersi in sala con il proprio film è sempre difficile: sei nervoso, ascolti le reazioni e cerchi di cogliere ogni respiro del pubblico», racconta al CdT Elsa Kremser. Per il co-regista Levin Peter, uno dei momenti più intensi è stato percepire l’attenzione della sala in una scena apparentemente minima: «Quando i protagonisti sono di notte in un parco e lui le mostra come aprire un corpo, ho sentito un legame diretto, come se quell’intimità fosse arrivata a tutti».
La genesi di White Snail parte da un incontro casuale. Dieci anni fa, a Minsk, Kremser conosce il pittore e assistente di obitorio Mikhail Senkov - oggi interprete maschile del film - in un contesto che già mescolava arte e morte. «Sono entrata nel suo appartamento dopo aver visto il mio primo cadavere: sulle pareti c’erano dipinti che ritraevano volti di defunti con occhi vigili. Era un linguaggio visivo potente, che non ho più dimenticato».
Accanto a Senkov, nel film, c’è Marya Imbro, modella alla sua prima esperienza cinematografica. La scelta, raccontano i registi, è stata istintiva: «Non cercavamo una modella, ma una persona che avesse già interrogato il proprio corpo e i suoi limiti». Imbro parla apertamente di disturbi alimentari e di un lungo percorso di accettazione: «Ho sempre faticato a vedere il mio corpo per quello che è, anche nei dettagli più piccoli. Girare questo film mi ha costretta a confrontarmi con il mio passato, ma mi ha anche mostrato quanto sono cambiata».
Senkov, dal canto suo, riconosce di aver sempre vissuto ai margini: «Mi sono sempre sentito un outsider. Lavorare in un obitorio e dipingere corpi mi ha messo in contatto con la fragilità umana in un modo che non tutti possono sopportare». Se le vite personali degli attori sono segnate da esperienze di marginalità, la cornice politica in cui il film è nato amplifica il senso di isolamento. Negli ultimi anni, la Bielorussia ha visto restringersi drasticamente gli spazi di libertà: media indipendenti chiusi, centinaia di persone arrestate per reati d’opinione, associazioni culturali sciolte. Secondo l’ultimo rapporto di Amnesty International, il Paese vive una repressione sistematica del dissenso, che coinvolge anche il mondo dell’arte. Artisti, musicisti e scrittori subiscono controlli, censura preventiva e, talvolta, procedimenti giudiziari per «estremismo» legati alle loro opere.
«Non puoi dire tutto ciò che vuoi, non puoi creare qualsiasi opera», ammette Peter. «Ma volevamo mostrare come, nonostante i limiti, esistano ancora possibilità e persone che le sfruttano per raccontare storie». Molti degli artisti che Kremser e Peter avevano conosciuto all’inizio del progetto hanno lasciato il Paese. Senkov è rimasto, e oggi i suoi quadri più grandi non lasciano la sua casa: «Sono troppo imponenti per passare dalla porta. È una metafora amara: opere che dovrebbero essere viste restano confinate».
Portare White Snail a Locarno è stato anche un gesto di apertura, una finestra su un contesto raramente rappresentato. La scelta di mescolare elementi documentari e di finzione ha permesso di preservare l’autenticità delle storie personali. I due protagonisti si sono incontrati solo il primo giorno di riprese: «Non volevamo prove, né copioni tradizionali», dice Kremser. «Volevamo che il loro avvicinamento fosse reale, vissuto davanti alla macchina da presa».
Il risultato è un racconto sospeso tra la concretezza di corpi e luoghi e la dimensione quasi fiabesca di simboli e superstizioni radicate nella cultura bielorussa. «Sciamanesimo e desiderio di libertà convivono in questo immaginario», dice la regista. «Volevamo che emergesse anche visivamente, alternando la luce artificiale delle città alle atmosfere notturne dei villaggi».
Per la troupe, composta da professionisti di più Paesi, girare in Bielorussia è stata un’esperienza inedita. Le riprese, in parte realizzate anche in Lettonia, hanno richiesto adattamenti continui e una discrezione necessaria per evitare attenzioni indesiderate. «Non esistono fondi culturali per il cinema indipendente», sottolinea Kremser. «Senza una coproduzione internazionale, questo film non sarebbe mai nato».
Oggi White Snail viaggia nei festival, ma le sue radici restano legate a un Paese dove, ricorda Peter, «molto è cambiato, e non sempre in meglio. Ma l’arte, anche confinata, può ancora creare legami e rompere immaginari chiusi». Per Imbro e Senkov, la proiezione a Locarno è stata un’occasione rara per mostrare il proprio lavoro a un pubblico internazionale. «Dopo questo film continuerò a dipingere. È la mia vita, il mio modo di restare libero», dice Senkov. Imbro guarda invece verso nuovi progetti nel mondo della moda, forse in Asia, ma con una consapevolezza diversa: «Ora so che il mio corpo non è solo un’immagine, ma parte di me».
In un contesto in cui la libertà è un bene fragile e spesso negato, White Snail si fa così testimonianza e atto di resistenza silenziosa, ricordando che, anche dove il potere cerca di controllare l’immaginazione, l’arte può ancora essere un rifugio e una forma di autentica libertà.