Cinema

Il diavolo veste Prada, anche per Valentino Odorico: «Ero l'ombra di Stanley Tucci»

Già collaboratore del Corriere del Ticino, l'esperto di moda e influencer in queste settimane di lavorazione a Milano ha fatto da «stand-in» all'attore americano
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Red. Online
12.10.2025 13:00

Valentino Odorico, influencer ed esperto di moda, già collaboratore del Corriere del Ticino, stenta a crederci. Già, perché quasi senza volerlo si è ritrovato nel cuore di un film in lavorazione a Milano. E che film: Il diavolo veste Prada 2. «Mi hanno detto solo: devi essere lui. Stanley Tucci» racconta il diretto interessato al Corriere della Sera. La sua ombra. Sul set. O, se preferite, il suo stand-in. Colui che, in sostanza, deve «girare» ogni ciak finché luci e inquadrature non sono perfette. Affinché, quando entrano gli attori veri, il set sia impeccabile. 

Valentino, fra tutto, è stato impegnato per due settimane. Ha legato, ovviamente, con Tucci. Ma anche con Anne Hathaway. Persone alla mano, lontano dai riflettori, normali. Odorico, che ha fatto della moda il suo mestiere, è rimasto impressionato dalla macchina che fa girare un set del genere. E dalla regia in particolare. «Lì dentro – spiega – non sei più a Milano, sei nel film: concentrazione assoluta. Non sapevo più, a un certo punto, se il film era quello che stavano girando le star o quello che vivevo io, con ciak uno dopo l’altro. Bisogna tenere insieme cento esigenze diverse, ritmi opposti, ansie, meteo, folla, estetica. È un lavoro di sintesi pazzesco. Il mondo dei tecnici, dei costumi, del trucco lo conosco. Ma la regia è un’orchestra: se uno sbaglia mezzo tempo, la scena si rompe».

Gli stand-in rappresentano, appunto, un'ombra. Sono attori finché l'attore, come Tucci, non si presenta in scena. «Ogni segno a terra è un’istruzione. Ogni passo, una misura. Devi essere esatto senza lasciare traccia». D'accordo, ma il film come sta venendo? Valentino, grande amante del primo capitolo, al punto da conoscerlo a memoria, dice che è impossibile comprendere la trama: «Si saltava da un’inquadratura all’altra. Era come guardare un puzzle rovesciato: vedi i pezzi ma non sai cosa rappresentano. Con il montaggio la storia prenderà corpo». Quanto all'attesa di entrare in scena, Odorico riassume il tutto così: «Stai ore al buio, poi all’improvviso tutto si accende. È un piccolo brivido ogni volta». Di nuovo: «È stato come vivere un sogno con la luce accesa. Restare nell’ombra non vuol dire contare meno. Se sbaglio io, la scena perfetta non parte nemmeno».