Cultura

Il diritto di splendere: Vittoria Schisano a Lugano racconta una storia di transizione e libertà

L'attrice, fresca vincitrice del Nastro d'Argento, protagonista di una serata all'hotel Splendide Royal dove presenterà il suo romanzo Siamo stelle che brillano - Un invito a riconoscere la luce che ognuno porta dentro di sé
Mattia Sacchi
01.06.2025 06:00

Torna a Lugano con un libro e un premio. Il 3 giugno, all’Hotel Splendide Royal, Vittoria Schisano presenta Siamo stelle che brillano, romanzo scritto con Alessio Piccirillo, pochi giorni dopo il Nastro d’Argento come «Protagonista dell’anno» per la serie Netflix La vita che volevi. L’incontro, organizzato da Nicoletta Gianni, sarà l’occasione per ascoltare la voce libera e intensa di un’artista che ha trasformato il proprio percorso di transizione in una testimonianza luminosa di verità e autodeterminazione.

Partiamo dal motivo per cui arrivi a Lugano. Cosa rappresenta per te questa tappa?
Vengo a presentare «Siamo stelle che brillano», il mio primo romanzo, scritto insieme ad Alessio Piccirillo, che è anche il mio ufficio stampa e un grande complice creativo. È un libro che parla di identità, di trasformazione, di libertà. Il protagonista è Cristiano, un bambino che cresce sentendosi fuori posto, giudicato dai compagni, dalla scuola, dalla politica. Ma incontra persone – come zia Delia e poi un gruppo di amici – che lo aiutano a guardarsi dentro. E a brillare.

È una storia inventata, ma piena di verità. Anche personali?
Sì, anche se non è un’autobiografia. Ma c’è una verità che conosco bene: quella sensazione di essere fuori posto, sbagliata. Anch’io ho dovuto attraversare il mio percorso, affrontare paure e pregiudizi, e fare una transizione per potermi riconoscere. Non per diventare qualcun altro, ma per diventare finalmente me stessa. Quando ti dici la verità, tutto cambia. Ti liberi.

Ecco cosa significa per te brillare.
Brillare è smettere di chiedere scusa per essere chi sei. È rifiutare le gabbie, le etichette, le definizioni imposte. Le stelle non brillano mai allo stesso modo. Alcune sono più intense, altre più discrete, ma tutte hanno diritto di splendere nel cielo. Il mio libro vuole dirlo anche a chi non ha ancora trovato il coraggio di guardarsi con amore.

A chi è destinato il libro?
Ai giovani, soprattutto. Ma anche a chi li educa, ai genitori, agli insegnanti. I ragazzi oggi sono più sensibili, ma anche più esposti. E spesso vengono lasciati soli a cercare risposte in rete, dove trovano modelli tossici. Dobbiamo restituire valore alle parole vere, alla bellezza del confronto. Non possiamo più fingere di non vedere. Bisogna educare al rispetto, all’affettività, alla diversità.

Eppure, certi temi sono ancora considerati scomodi.
Lo sono, ma solo per chi ha paura. L’amore non ha genere. La famiglia non ha una sola forma. E l’inclusione non è un favore: è un diritto. Viviamo in un tempo in cui si chiede ancora chi può amare chi, chi può diventare genitore, chi può decidere per il proprio corpo. È una visione limitante, e pericolosa. La libertà non va mai concessa: va riconosciuta.

Venerdì scorso hai ricevuto il prestigioso Nastro d’Argento come migliore protagonista. Che significato ha per te questo riconoscimento?
È un premio che mi emoziona profondamente. Per anni mi hanno detto che non c’era spazio per me, che non avrei avuto ruoli, che la mia storia personale avrebbe sempre «disturbato». E invece no. Questo premio non è solo mio. È per tutte le persone che lottano ogni giorno per essere viste, per chi è stato messo ai margini, per chi non rinuncia ai propri sogni. E anche per la Vittoria di ieri, quella che aveva paura ma ha scelto comunque di camminare nella verità.

Non sei stanca di dover sempre spiegare chi sei?
Non sono solo stanca. Sono esausta. Perché ho voglia di parlare del mio presente, del mio lavoro, dei ruoli che sogno, delle cose che amo. Invece spesso si torna sempre al «prima», come se non fossi mai abbastanza ora. E invece oggi sono una donna, un’attrice, una scrittrice. Sono me stessa, punto. E vorrei che anche chi racconta la mia storia iniziasse da qui.

Allora guardiamo avanti. Che ruoli ti piacerebbe affrontare ora?
Mi affascina tutto ciò che è lontano da me: una suora, una serial killer, una donna dura, magari ambigua. Mi piacerebbe interpretare personaggi complessi, non per forza «esemplari». Veronesi mi ha detto: «Sei talentuosa e sottovalutata, meriti di misurarti con le tue colleghe». È quello che desidero anch’io: poter recitare, senza dover rappresentare per forza una causa. Gloria, nella serie Netflix, è un personaggio distante da me, ma mi ha fatto crescere. Mi ha aiutata a essere ancora più diretta, ancora più libera.

Hai un personaggio che sogni di interpretare?
Sì, Mariangela Melato. Qualcuno dice che le somiglio, da quando ho tagliato i capelli. Non accadrà mai – perché in Italia certe cose non si fanno – ma sognare non costa nulla. Mariangela era una potenza, un’intelligenza, una voce indimenticabile. Sarebbe meraviglioso poterla raccontare.

Cosa diresti oggi a chi si sente come Cristiano, prima del suo riscatto?
Lo abbraccerei. Perché a quell’età servono prima gli abbracci delle parole. E direi: «Non credere a chi ti fa sentire sbagliato. Tu vai bene così». I genitori dovrebbero fare lo stesso: abbracciare i propri figli anche quando non li capiscono. E punirli quando serve, ma con amore. A Lugano spero che vengano anche tanti ragazzi. Perché abbracciandoli, è come se abbracciassi anche la ragazzina che ero. E che, per troppo tempo, nessuno ha saputo vedere.