Fuori concorso

Il Gesù di Giulio Base: suggestivo, apocrifo e controcorrente

L’opera del regista torinese fa leva su un cast straordinario - tra gli altri, John Savage, Rupert Everett e Paz Vega - e sceglie di puntare tutto sulle immagini, sacrificando i dialoghi dei protagonisti
Max Borg
14.08.2025 06:00

Prolifico e inarrestabile, mentre sta lavorando assiduamente al programma del Torino Film Festival - di cui è direttore artistico - il regista italiano Giulio Base ha trovato il tempo di fare tappa in Ticino, a Locarno, per presentare il suo lungometraggio più recente.

Parliamo di Il Vangelo di Giuda che, come spiega lo stesso titolo, si propone come rilettura del testo biblico adottando il punto di vista del traditore per antonomasia. E lo fa in modo particolare, poiché il protagonista non appare (quasi) mai fisicamente: vediamo il suo corpo impiccato, e da lì parte la narrazione a ritroso, con la voce di Giancarlo Giannini (ma soltanto nella versione italiana: al Festival passa anche quella francese, nella quale il narratore è Lambert Wilson, e si parla anche di un doppiaggio americano che uscirà in seguito).

C’è anche Abel Ferrara

E così, scopriamo la vita di Giuda, nato da una prostituta (difatti il suo nome allude all’assenza di paternità riconosciuta) e poi divenuto padrone del bordello dove la madre esercitava. Un’attività, quella di Giuda, che lo porta in contatto con Erode (interpretato nel film di Base dal regista Abel Ferrara) prima che si manifesti la retta via tramite gli insegnamenti di Gesù (Vincenzo Galluzzo, già apparso in un piccolo ruolo lo scorso anno nel film di Mauro Borrelli L’ultima cena), le cui gesta sono raccontate proprio da colui che, un giorno, gli darà il bacio che porterà alla condanna a morte.

Giulio Base, che è laureato in Teologia, si è ampiamente documentato sull’argomento, come testimoniano i titoli di coda nei quali scorre una corposa sezione bibliografica sui testi consultati per la stesura del copione.

E la premessa è indubbiamente affascinante, anche perché consente di fare un uso diverso delle location italiane per un progetto su quel periodo biblico dopo gli adattamenti dei Vangeli di Pier Paolo Pasolini e dello statunitense Mel Gibson (con quest’ultimo che si appresta a tornare dietro la macchina da presa per girare un dittico sulla resurrezione di Gesù). Intrigante anche la scelta di non far parlare (per lo meno non in modo udibile, salvo rare eccezioni) gli attori, lasciando che siano le immagini, commentate dalla voce di Giannini, a sottolineare le interpretazioni di un cast internazionale che include Rupert Everett (Caifa), John Savage (Giuseppe) e Paz Vega (Maria).

Ma è anche controproducente sul lungo termine perché la narrazione più o meno costante per l’intera durata della pellicola (93 minuti) elimina ogni sfumatura, smorzando l’eventuale impatto visivo di quello che vuole essere un racconto alternativo di eventi che già conosciamo.

Il Nazareno comprimario

Altalenante anche la componente estetica, con immagini suggestive che si alternano a momenti più piatti, quasi televisivi nel senso deteriore del termine (tra l’altro, Giulio Base, nel 2005, ha diretto per la RAI una miniserie in due puntate su San Pietro, nella quale il primo apostolo aveva il volto di Omar Sharif, mentre Gesù era interpretato dall’attore tedesco Johannes Brandrup).

Anonima anche la presenza scenica di Galluzzo, il cui Gesù è volutamente un comprimario (destinato all’oblio, secondo Giuda) ma comunque caratterizzato in una maniera che non rende giustizia al fascino che avrebbe esercitato sui discepoli, al punto da diventare una figura scomoda da eliminare a tutti i costi.

È un’operazione che, come da titolo, si annuncia come testo apocrifo, controcorrente, disposto a gettare nuova luce su uno dei personaggi negativi per eccellenza; nell’esecuzione, però, appare un po’ timida, dalla confezione riconoscibile, senza veramente scompigliare le carte del mondo biblico al cinema.

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