«Il successo di un progetto è legato alla capacità di cambiare»

Con il vicepresidente del Locarno Film Festival Luigi Pedrazzini facciamo il punto sull’edizione agli sgoccioli, il ruolo della politica, della diplomazia, di Maja Hoffmann e della Piazza Grande.
Da locarnese DOC avrà vissuto molti Festival, ma quello da vicepresidente che Festival è stato per Luigi Pedrazzini?
«La vicepresidenza mi ha dato l’opportunità di seguire da vicino la “macchina” del festival durante i mesi di preparazione e durante la manifestazione. Premesso che già in passato, negli anni ’90 del secolo scorso, ero stato membro del Consiglio direttivo e per alcuni anni vicepresidente, ho “ritrovato” un Festival molto dinamico, moderno, molto giovane e cosmopolita nello spirito».
Nelle ultime due settimane abbiamo parlato molto di artisti, attori, registi, film e trame. Ma anche di tutto quanto ruota attorno al Festival di Locarno. Si può dire che il Festival (con la F maiuscola) attira sempre più un pubblico non solo di cinefili?
«È un dato di fatto ed è uno dei punti di forza del Locarno Film Festival. Non si spiegherebbero, altrimenti, le cifre che attestano una crescita del numero degli spettatori. È un aspetto molto positivo, per certi versi in controtendenza. Locarno “forma” cinefili!».
A Locarno è sempre più presente il mondo della politica: nazionale, cantonale e internazionale; quest’anno, in particolare, con Ignazio Cassis e Antonio Tajani. E non è un caso...
«La presenza di personalità della politica, così come dell’economia e, più in generale, della società è frutto di una strategia che il Festival persegue da anni con l’intento di fare di Locarno una rete di dialogo e di confronto su temi di grande attualità; un’azione resa possibile anche dalla bellezza del territorio e dalla qualità delle infrastrutture. È un processo importante perché, secondo me, arricchisce anche le personalità che lo vivono, oltre a rafforzare la percezione di Locarno come crocevia d’incontro. La giornata della diplomazia è stata emblematica della capacità del Festival di aprire orizzonti al di là della cinematografia. Non ci si dimentichi, inoltre, che Locarno, fin dalla sua nascita, è riconosciuto come un Festival di scoperta in cui le grandi correnti culturali, sociali e politiche si incrociano. Accogliere questi dialoghi fa parte del DNA del Locarno Film Festival».
Il cinema per dare il via a un processo di pace (puntuale e generale). Tutto questo quanto la convince?
«Non ho percepito la giornata della diplomazia come l’avvio di un processo di pace, ciò che sarebbe oggettivamente pretenzioso e poco convincente, ma come un’occasione per parlare di pace o, meglio, dei rischi enormi di gravi conflitti che rendono insicuro il mondo. È un tema che sarà ancora più importante l’anno prossimo, quando ricorreranno i 100 anni del patto di Locarno».
Qual è la sua aspettativa?
«Immagino che la città non farà solamente una commemorazione storica; cercherà, presumo, di fare una riflessione su che cosa è stato e che cosa, poi, non è diventato. In realtà, aveva creato grandi aspettative, poi naufragate. Il Festival dovrà inserirsi in questa riflessione. Ma lascio il compito a chi ne ha la competenza».
Il cinema è realtà e un po’ finzione. Portare la pace a questo livello non rischia di diventare un esercizio alibi, un po’ scenografico?
«Il Festival ha scelto, e non da oggi, di dare spazio, attraverso i film ma anche attraverso iniziative collaterali, alle criticità sociali, politiche, ambientali, e di farlo evitando un taglio ideologico. È evidente che i problemi sollevati a Locarno non trovano un’immediata soluzione, ma questo non significa che si tratta di esercizi alibi. Anche perché i film non si fermano a Locarno, ma circolano nelle sale di molti Paesi e diventano, in questo modo, un potente mezzo di sensibilizzazione e di formazione delle coscienze».
La diplomazia è da sempre al centro della kermesse locarnese. Quali sono le possibili reazioni, i punti d’incontro tra diplomazia e cinema?
«Il cinema è un veicolo di comprensione reciproca tra culture e popoli. Lo è grazie a un linguaggio accessibile e condiviso, che supera le barriere linguistiche e culturali. Per questo, è uno strumento potente di dialogo e di comprensione reciproca. Durante la guerra fredda, a Locarno si sono scoperte la cinematografia sovietica, quando altrove non era possibile. Qui è stata fatta emergere la magnifica cinematografia iraniana, quando altrove era ignorata. E con queste cinematografie si sono aperti dialoghi con questi Paesi».
Le grandi (o ingigantite) polemiche politiche sul Festival, sembrano superate. Merito di una rinnovata sensibilità organizzativa e artistica, o magari del fatto che la politica cantonale, grazie al lavoro di Marco Solari, è stata coinvolta, soddisfatta e invitata alla kermesse?
«Il Locarno Film Festival sembra, in effetti, attraversare un buon momento per quanto concerne la relazione con il territorio e con la politica regionale e cantonale. È importante che sia così, perché il sostegno regionale e cantonale è fondamentale. Dobbiamo considerare questo aspetto come un “cantiere” costantemente aperto e mantenere un dialogo costante con le autorità e la popolazione. Le scelte devono essere spiegate e capite, così come va sempre sottolineata e capita la libertà artistica che deve essere riconosciuta al Festival».
Che cosa si sente di sottolineare a livello di cambiamento dal festival di Solari a quello di Hoffmann?
«Senza nulla togliere ai presidenti e al loro ruolo fondamentale, non mi piace parlare del Festival dell’uno o dell’altro. Il Festival è un grande processo in divenire in cui conta il rispetto dei valori condivisi, la competenza delle persone che vi lavorano, la qualità delle infrastrutture, l’attrattività e la sostanza delle proposte programmatiche portate avanti dalla direzione artistica. È un processo che non produce cambiamenti in pochi mesi; le prime edizioni del “Festival di Solari” erano oggettivamente assai simili a quelle del “Festival di Rezzonico”. Per rispondere alla sua domanda, penso che sia perciò troppo presto, anche se mi sento di dire che coglieremo le novità della presidenza Hoffmann soprattutto negli indirizzi artistici e culturali».
Per Hoffmann è stato l’anno zero. Attendiamo la sua impronta dall’edizione 2025?
«È stato un anno nel quale la presidente ha voluto capire cosa sia Locarno. E, come l’ho vista io, è venuta con la mentalità giusta, tesa all’ascolto e determinata a vivere questa realtà. Ma non forzatamente quella degli eventi. Hoffmann è una persona di sostanza. Per carità, gli eventi le interessano, ma non è la prima cosa che cerca. In primis, tiene al colloquio con i professionisti, so che ha partecipato volentieri agli incontri con i registi e questo è il segnale di una presidenza che è attenta al contenuto».
Veniamo al vero protagonista del Locarno Film Festival. I numeri, specie in piazza, sono contraddistinti dal segno «più». Oltre a dire grazie, che cosa si sente di dire per questa splendida realtà?
«I numeri per Locarno non sono solo indicatori quantitativi, ma soprattutto qualitativi: Locarno, infatti, a differenza di altri festival, cerca e trova il confronto con il pubblico».
Il Festival fa rima con piazza Grande, l’evento della sera della splendida città sul Verbano. Ma la piazza e il suo pubblico non meriterebbero anche qualche film più fruibile, più facile, più adatto al grande pubblico?
«Penso che la riflessione ci stia, e lei mette il dito su una questione che ho motivo di ritenere sarà discussa dal CdA, pur nel rispetto dell’autonomia del direttore artistico. Si può parlare di una strategia della piazza Grande che è un po’ la nostra vetrina. Posso immaginare che ci chineremo sulla questione perché si avverte questa richiesta. Ma non sarà mai il CdA a scegliere le pellicole da proiettare sul grande schermo, semmai darà alcune indicazioni strategiche».
Qualcuno dice che in piazza, al Film Festival, non si ride mai. Che cosa ne pensa?
«Trovo sia un modo simpatico, non polemico ed elegante per segnalare quanto dicevo prima. In parte, recepisco questa osservazione, in parte no. Il Festival propone anche problematiche, e le problematiche non sono necessariamente divertenti. Ma su dieci giorni di proiezioni in piazza, credo ci sia spazio anche per un compromesso, per tenere in considerazione talune aspettative».
Un Festival di successo, con il pubblico che accorre, ma che si pensa di cambiare, di riorientare a livello di calendario. Conviene che non sia facile da capire per chi non lo vive dall’interno?
«Il successo di un progetto nel tempo è spesso legato alla sua capacità di cambiare. Per Locarno, questa è stata una coraggiosa costante! Per quanto concerne la questione delle date, penso che sia importante capire, così come suggeriscono gli specialisti da anni, che un anticipo della manifestazione potrebbe favorire la selezione di film di qualità e una maggiore presenza a Locarno di attori, registi, produttori. Se ne deve perciò parlare, coinvolgendo i partner, i Comuni, il turismo, gli organizzatori degli altri eventi e, non da ultimo, il pubblico».
La presidente Hoffmann, alla vigilia del suo debutto, ha lanciato il tema del periodo del Festival e della difficoltà (oggettiva tutto l’anno) di raggiungere Locarno. L’impressione è che con questa mossa abbia catalizzato l’attenzione su un tema concreto, ma che ha pure finito per mettere in ombra la 77esima (e per lei prima) edizione. È d’accordo?
«No, non sono d’accordo, e non credo che il pubblico e la critica, e nemmeno la stampa in generale, si siano lasciati distogliere dai contenuti della manifestazione».
Mi rivolgo a un vecchio volpone della realtà ticinese. Ha fatto presente alla signora Hoffmann che il Ticino non è propriamente terra di cambiamento e che, seppur a modo, avrebbe raccolto più perplessità che stimoli a proseguire il discorso?
«Penso che la presidente Maja Hoffmann, presente a Locarno durante tutto il Festival, abbia visto un Ticino e un Locarnese capaci di sostenere con coraggio una proposta di respiro internazionale, aperta, innovativa, dinamica. È vero che talvolta diamo l’impressione di non essere terra di cambiamento, ma la realtà, almeno per ciò che concerne il Festival, va in direzione opposta».
A inizio autunno, in assemblea, il tema «date del Festival» sarà sul tavolo?
«In ottobre ci sarà un’assemblea straordinaria per procedere a una modifica degli statuti necessaria per adattare le strutture organizzative. La questione del calendario, ammesso che maturi un consenso, non produrrà effetti prima del 2028».
Parliamo di soldi. L’anno prossimo scadrà il credito quadro cantonale 2021-2025 di 3,4 milioni di franchi. Per il rinnovo, qual è la sua aspettativa?
«Abbiamo già avviato i contatti, prima dell’estate abbiamo incontrato la direttrice del DECS Marina Carobbio, definendo una road map. La palla è nelle mani del Governo, presumo che se ne parlerà nella primavera del 2025. Da parte nostra, non ci sarà una richiesta di aumento per il successivo quadriennio. Chiederemo la conferma dell’importo attuale, in considerazione delle sinergie generate dal progetto Festival che lascia molto nel Paese e ha un effetto leva importante».