Julie Pacino e l'albergo degli incubi

La sezione Fuori Concorso del Locarno Film Festival è da alcuni anni territorio privilegiato per le varie declinazioni del cinema horror (ricordiamo She Will nel 2021 e The Sadness nel 2022), e di questa nuova e gradita tradizione fa parte uno degli esordi registici di questa edizione 2025: I Live Here Now, opera prima della statunitense Julie Pacino. E se il cognome lascia intendere che sia figlia d’arte, l’impressione è corretta: classe 1989, è la primogenita del grande attore Al Pacino, e dopo essersi diplomata alla New York Film Academy si è fatta notare in patria come produttrice e talvolta anche regista di vari cortometraggi.
Ora è passata al lungometraggio, con un debutto che è sicuramente destinato ad attirare l’attenzione degli appassionati di cinema di genere, come già avvenuto il mese scorso in Canada: prima di arrivare a Locarno I Live Here Now ha avuto la sua prima mondiale al Fantasia International Film Festival, evento che si tiene a Montréal.
Protagonista del tutto è Rose (l’australiana Lucy Fry, vista su Netflix nel film Night Teeth), giovane donna delusa sul piano professionale e personale (umiliante l’incontro con colei che, in un possibile universo alternativo, sarebbe stata la suocera), e si ritrova una sera in un motel isolato dove le stanze suggestive vanno ben oltre ciò che ci si potrebbe aspettare: Rose si rende gradualmente conto che il tempo si distorce e riemergono dolorosi ricordi del passato. Il confine tra realtà e incubo si fa sempre più sottile, e sorge spontaneo il dubbio: Rose è ospite o prigioniera? La notte difficilmente darà risposte, limitandosi a porre le basi per una battaglia che ha luogo dentro, come suggerisce il titolo di uno dei capitoli che scandiscono la struttura del racconto.
L’immaginario onirico è chiaramente erede di visioni simili portate sullo schermo in decenni passati, un elemento che Pacino mette in evidenza affidando un ruolo breve ma importante a Sheryl Lee, la mai dimenticata Laura Palmer dell’universo di Twin Peaks, qui non più fantasma ma sempre e comunque portavoce di verità inquietanti. Il microcosmo si fa macro, trasformando il minimalismo da opera prima in grande ambizione formale e tematica, creando un mondo che si espande intorno alle conversazioni fra Rose e la sua interlocutrice principale, Lillian (Madeline Brewer, altro volto da brivido delle piattaforme).
Tutto già visto in un modo o nell’altro, ma rielaborato con un autentico gusto per il fantastico e il macabro, una prima rilettura del genere che potrebbe essere il presagio per altri immaginari più complessi qualora la regista decidesse di continuare su un percorso di questo tipo. È un biglietto da visita elegante, curatissimo e immaginifico, con un titolo che è una divertente dichiarazione d’intenti da parte di una cineasta che, lontana anni luce da ciò che è solito fare l’illustre genitore, si presenta con una non ingiustificata fiducia nelle proprie capacità dietro la macchina da presa: adesso ci vive lei qua. Nei nostri incubi, e sui nostri schermi.