«La passione per me è nata nelle sale dei cineclub»

Da quasi mezzo secolo alla guida di una delle realtà cinematografiche più vitali della nostra regione (il Circolo del Cinema di Bellinzona), Michele Dell’Ambrogio riceverà stasera in piazza Grande il Premio Cinema Ticino 2025. Un riconoscimento che intende mettere in evidenza il suo impegno costante e appassionato per la diffusione del cinema di qualità.
Qual è il primo film che l’ha segnata, come spettatore e come cinefilo?
«Quando ero studente al liceo, quindi sto parlando della seconda metà degli anni Sessanta, ho iniziato a frequentare il Circolo del Cinema di Bellinzona che allora già esisteva con alla guida un altro comitato, quello di Kiki Berta e Carla Agustoni. Proiettavano i loro film al Cinema Cervo, che oggi purtroppo non c’è più, e non mi ricordo un film in particolare, ma piuttosto alcune retrospettive dedicate a Ingmar Bergman e a Luis Buñuel e, prima ancora, nel 1969, una rassegna dedicata al nascente nuovo cinema svizzero. Quindi non c’è stato un film in particolare a segnarmi, ma già allora la frequentazione del cineclub. Anche se erano anni in cui si andava spesso al cinema a vedere i nuovi film di Godard, di Truffaut, di Fellini e di altri».
Quando invece si è impegnato in prima persona nel cineclub di Bellinzona?
«Questo impegno coincide con il momento in cui io e altri siamo subentrati alla precedente gestione che, per svariati motivi, aveva lasciato. Eravamo una cerchia di amici appena laureati, formati all’Università di Friburgo ma non solo, ci siamo presentati a una riunione e abbiamo detto: “Va bene, cerchiamo di continuare noi”. Era il 1976, quindi l’anno prossimo saranno 50 anni e di quel primo comitato rimaniamo ancora in tre: io, la responsabile amministrativa Erica Diviani e il nostro presidente Furio Pini. Ma ovviamente ci sono anche persone nuove che sono arrivate più tardi».
Ricordo la chiusura del cinema Ariston, poi dell’Ideal - sale dove si tenevano le vostre proiezioni -: avete mai temuto di dover cessare l’attività del cineclub a Bellinzona per mancanza di sale?
«Ci sono stati più momenti in cui abbiamo temuto di dover chiudere baracca, anche perché all’inizio non ricevevamo nessun contributo pubblico e quindi tutto era basato sul nostro tesseramento e sui biglietti venduti. Quindi difficoltà finanziarie molto grosse, anche perché affittavamo la sala del vecchio cinema Forum e i gestori di allora ci facevano pagare cifre esorbitanti, più alte addirittura di quelle di oggi. Quindi potevamo permetterci il Forum solo ogni tanto, mentre la maggior parte delle proiezioni si tenevano in aule magne di scuole, a Giubiasco e poi alle Scuole Nord, con copie dei film in 16 mm. Quindi ci sono stati molti momenti difficili in cui si rifletteva sul fatto di continuare o meno. Poi anch’io ho passato due anni di congedo di studio a Bologna e quindi ero spesso lontano da Bellinzona e la collaborazione era piuttosto difficile. Però, bene o male, c’è sempre stata una continuità di programmazione da 49 anni a questa parte, con stagioni un po’ ridotte e altre invece molto intense. Dagli anni 80 abbiamo poi iniziato a ricevere degli aiuti dal Cantone, poi dal Comune e quindi le cose dal punto di vista finanziario vanno meglio e possiamo assicurare da una quindicina d’anni una programmazione con oltre 60 film a stagione e collaborazioni con gli altri cineclub ticinesi e con associazioni non necessariamente centrate sull’interesse per il cinema, ciò che ci permette di attirare nuovo pubblico».
Qual è l’identikit dello spettatore-tipo del cineclub di Bellinzona?
«Dal punto di vista numerico la frequentazione delle proposte del cineclub è molto buona: nel 2024 abbiamo superato i 70 spettatori di media a proiezione, con affluenze di oltre 100 persone per la retrospettiva dedicata ad Otar Ioseliani che personalmente mi hanno fatto molto piacere. Il punto dolente è che si tratta di spettatori di una certa età, con una media attorno alla sessantina. Sono anni che ci chiediamo cosa fare per attirare i giovani, ma il problema non è risolto perché è difficilissimo raggiungerli. Da diversi anni abbiamo istituito l’entrata gratuita per gli studenti, ma neppure questo serve a qualcosa. Arriva qualche giovane a seconda delle rassegne che organizziamo, ma senza continuità. Organizziamo anche da diversi anni un ciclo di proiezioni serali riservato agli studenti del Liceo di Bellinzona che è piuttosto ben frequentato, ma al di fuori di questo non scatta l’automatismo da parte loro di interessarsi anche alle nostre altre attività, seppure gratuite per loro. È un po’ quel che succede anche con Castellinaria: le proiezioni del festival in orario scolastico sono sempre piene, ma le ricadute al di fuori di quelle sono minime».
Questa sera riceverà il Premio Cinema Ticino in piazza Grande, cosa rappresenta per lei il Film Festival di Locarno?
«Lo seguo da cinquant’anni, quindi… Devo però ammettere di aver amato di più la Locarno di quegli anni lontani (i Settanta, gli Ottanta, i Novanta) rispetto a quella di oggi. Accanto alla mia attività di animatore del cineclub ho sempre scritto parecchio, inventandomi anche il ruolo di critico cinematografico. E frequentando il Festival scrivevo spesso anche su Locarno, purtroppo però senza mai avere un feedback, senza mai riuscire a suscitare un dibattito, perché essendo molto affezionato al Festival cercavo anche di fare delle critiche che ho sempre ritenuto costruttive, non semplicemente denigratorie. Ma perlomeno negli ultimi decenni il dibattito è sempre mancato, diversamente da ciò che accadeva negli anni Sessanta e Settanta. Allora, inoltre, quando un film non piaceva veniva fischiato, mentre oggi al massimo c’è qualcuno che lascia la sala a metà proiezione, ma niente di più».
Come mai ha scelto L’Atalante di Jean Vigo, il film del 1934 che sarà proiettato oggi alle 16 al Gran Rex, come opera della storia del cinema abbinata al suo premio?
«Prima di tutto poiché lo ritengo un film importantissimo nella storia del cinema, molto innovativo per l’epoca. In secondo luogo, perché andando a riguardare la prima rassegna che abbiamo organizzato, nel 1976, ho trovato che comprendeva due film di Jean Vigo: L’Atalante e Zéro de conduite. Allo stesso regista abbiamo poi dedicato una retrospettiva completa qualche anno dopo e L’Atalante l’abbiamo ripreso ancora alla fine degli anni Novanta nell’ambito di una rassegna dedicata al grande attore ginevrino Michel Simon. È quindi stato un film molto importante per il Circolo del Cinema di Bellinzona, anche perché il nostro logo - che abbiamo ereditato dalla gestione precedente - raffigura Jean Vigo alla macchina da presa».