L'intervista

«La Piazza per me è un tempio del cinema»

Il regista losannese Jean-Stéphane Bron è l'ospite principale del lunedì sera con i primi due episodi della miniserie The Deal - Un progetto ambizioso della RTS e di Arte France, basato sui veri trattati per il nucleare in Iran che furono negoziati a Ginevra una decina d’anni or sono
©JEAN-CHRISTOPHE BOTT
Max Borg
11.08.2025 06:00

È un veterano di Piazza Grande il regista losannese Jean-Stéphane Bron, protagonista di una memorabile serata nel 2013 con il suo documentario L’expérience Blocher. Quest’anno, oltre a presentare nella sezione Fuori Concorso il film Le chantier (sulla costruzione di un cinema), è l’ospite principale del lunedì sera con i primi due episodi della miniserie The Deal (gli altri quattro verranno presentati martedì pomeriggio). Un progetto ambizioso della RTS e di Arte France, basato sui veri trattati per il nucleare in Iran che furono negoziati a Ginevra una decina d’anni or sono. Ne abbiamo parlato con Bron proprio nei pressi di Piazza Grande.

Perché proprio questa premessa per il suo debutto seriale?
«Volevo fare una serie, cercavo un soggetto che si addicesse a quel formato. Volevo che fosse una storia locale, ambientata in Svizzera francese, ma con una dimensione internazionale. Nel momento in cui mi sono ricordato degli accordi a Ginevra tra il 2013 e il 2015, l’argomento mi ha subito conquistato. Poi è stato un processo lavorativo piuttosto lungo, è durato sette anni. Quindi doveva essere una premessa in grado di appassionarmi e credo faccia parte del mio DNA, mi è sempre piaciuto raccontare i retroscena, quello che accade a porte chiuse».

In questo caso c’è anche la dimensione thriller. Una volta scelto l’argomento, com’è arrivato alla struttura della miniserie?
«Ho avuto la fortuna di lavorare con un gruppo di sceneggiatori, non ce l’avrei mai fatta da solo. Ciascun membro del gruppo ci ha messo del suo. La componente thriller è stata un’evoluzione naturale perché c’erano tutti gli ingredienti giusti, forse non nella realtà ma nella versione che noi abbiamo voluto raccontare: c’è l’obiettivo da raggiungere, c’è il tempo limitato, hanno dieci giorni per concludere l’accordo, costi quel che costi. Eravamo dei pescatori che lanciavano le reti e abbiamo raccolto vari aneddoti su situazioni politiche che potevamo adattare nel contesto della serie».

Diversi registi svizzeri hanno diretto delle serie negli ultimi anni. Com’è stata quella transizione?
«Mi è piaciuto molto il ritmo diverso. Quando faccio un documentario ci vuole tempo, a volte giro un’inquadratura al giorno, mentre in questo caso erano necessari quattro-cinque minuti di materiale al giorno. Mi piaceva anche avere cinque ore a disposizione per seguire questi personaggi a cui sono legato, come se fosse un lungo film».

A tal proposito, con Play Suisse chi vuole può vedere i sei episodi in un unico blocco. Venire dal mondo del cinema ha aiutato a trovare una struttura che, pur rispettando l’individualità degli episodi, possa invogliare il pubblico a guardare cinque ore di seguito?
«Quello è un aspetto tecnico della serialità ed è stato utilissimo lavorare con delle persone che avevano già scritto altre serie e quindi avevano quell’esperienza che a me mancava. Con Alice Winocour (co-creatrice del progetto e collaboratrice regolare di Bron, n.d.r.) siamo stati attenti al tono e al ritmo, lei mi ricordava in continuazione di mantenere costante il ritmo. Gli altri sceneggiatori hanno contribuito con i dettagli strutturali: tre linee narrative per episodio e come chiudere ogni puntata. Tre settimane prima dell’inizio delle riprese ho poi riscritto il tutto per tagliare alcune scene, sempre per questioni di ritmo».

Piazza Grande? Ci sono stato con il mio primo film, quando avevo 28 anni, ed è sempre emozionante avere tutti quegli occhi che guardano la tua opera

Ci sarà la possibilità di vedere la serie settimanalmente, in chiaro sulla RTS, o tutta insieme su Play Suisse. Lei che modalità preferisce?
«Io inizio a guardarne molte, di serie, e se ce n’è una che mi prende davvero mi ci tuffo. Sono in grado di guardare una stagione intera, o quasi, in due nottate. Poi devo dire che, come per i film, tendo a guardare le serie molto dopo l’uscita, quando non c’è più il polverone mediatico. Per fare un esempio, ho visto Mad Men per la prima volta qualche mese fa, dieci anni dopo la messa in onda dell’ultimo episodio. Ho guardato le sei stagioni nell’arco di due settimane. Ho amato il suo lato politico e il fatto che parla di un uomo infelice che vende felicità».

Ci sono delle serie a cui si è ispirato per The Deal?
«A livello formale, Succession. L’ho vista tre volte, la prima come spettatore, la seconda concentrandomi sulla scrittura, la terza per l’aspetto formale, l’uso dei diversi stili di ripresa a seconda delle scene. E poi Esterno notte di Marco Bellocchio, che ha uno stile classico che si contrappone all’estetica di Succession, dove è molto presente la macchina a mano. Ci siamo detti che la tensione all’interno della nostra serie sarebbe a metà tra quei due stili. Fatte le dovute proporzioni, perché non sto cercando di paragonarmi a loro, quelli erano i principali punti di riferimento».

È la prima volta che una serie viene proiettata in Piazza Grande. Come si sente?
«È un grande onore. La Piazza è un tempio del cinema, ho molte belle emozioni legate a quel luogo. Ci sono stato con il mio primo film, quando avevo 28 anni, ed è sempre emozionante avere tutti quegli occhi che guardano la tua opera».

The Deal è anche molto attuale: si parla di Israele, Palestina, Netanyahu. Dieci anni dopo è cambiato poco o nulla.
«E noi abbiamo iniziato a lavorarci quando Trump è uscito dall’accordo, nel 2018. È strano, la serie è ambientata nel 2015, ma è quasi un’utopia per domani».

Farà un’altra serie dopo questa esperienza?
«Ho un’idea, tematicamente simile, sempre ambientata in Svizzera ma con implicazioni internazionali, forse anche globali. Ma non posso scendere nei dettagli»

E una docuserie?
Mi piacerebbe molto. Ho apprezzato quello che Netflix ha fatto sulla Formula 1, per esempio, e fare una serie per una piattaforma con un target globale sarebbe bello. Ma al momento non ho un’idea per un progetto simile.

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