Cannes

Le origini del male americano e il mondo visto da un asino

In concorso «Armageddon Time», in cui il regista newyorchese James Gray paragona l’America reaganiana degli anni Ottanta con quella di oggi, ed «EO», tragica favola contemporanea di Jerzy Skolimovski
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Antonio Mariotti
20.05.2022 06:00

Dopo aver salutato in pompa magna Tom Cruise e il suo nuovo Top Gun con un’esibizione della Patroille de France e un breve ma rumorosissimo spettacolo di fuochi d’artificio, a Cannes è tornato la calma. L’atmosfera ideale per accogliere l’équipe del Locarno Film Festival - guidata da Giona Nazzaro, Raphaël Brunschwig e Simona Gamba - che è tornata sulla Croisette per la prima volta dal 2019 per incontrare giornalisti e addetti ai lavori. In assenza di blockbuster, a farla da padrone è quindi stato il concorso con due opere di notevole spessore.

Paul al bivio

Il newyorchese James Gray è un habitué della Croisette, dove ha debuttato nel 2000 dopo il successo del suo film d’esordio Little Odessa. Con Armageddon Time, Gray affronta una vicenda dai forti toni autobiografici, inserendola in un contesto storico preciso (gli USA del 1980) che il regista vede come il periodo cruciale in cui hanno iniziato a germogliare, sotto la presidenza di Ronald Reagan, le profonde divisioni che attraversano la società americana di oggi. Una situazione sintetizzata nel titolo che fa riferimento al luogo del giudizio finale dell’Apocalisse biblico e non è altro che la citazione di una frase pronunciata dallo stesso Reagan durante un dibattito televisivo citato nel film. Il protagonista, il preadolescente Paul (l’esordiente ma già bravissimo Michael Banks Repeta) è figlio di una famiglia di origine ebrea ucraina da parte di madre. Quest’ultima (Anne Hathaway) e il nonno (Anthony Hopkins) puntano all’ascesa sociale della stirpe e, dopo aver iscritto il figlio maggiore a una scuola privata esclusiva ed estremamente conservatrice, vorrebbero che anche Paul facesse altrettanto. Il ragazzo però vive in un mondo tutto suo e grazie alle sue doti per il disegno sogna di diventare un grande artista, anche se non sa bene cosa significhi. Paul vive al centro di una società in piena mutazione sociale, ma le malefatte che compie insieme a un amico di colore lo condannano alla scuola privata. Un mondo popolato di giovani privilegiati, destinati a diventare - come afferma il preside nel suo discorso d’inizio anno - «i leader di questa nazione». E, guarda caso, tra i maggiori sponsor dell’istituto c’è la famiglia Trump. Paul cerca di adattarsi a questo regime di stretto controllo psicologico e ideologico, ma alla fine se ne andrà in cerca di una via personale verso il futuro. Gray si dimostra come sempre un ottimo direttore di attori e tutti i suoi personaggi risultano perfettamente credibili ed equilibrati. La sceneggiatura, di cui è lui stesso autore, disegna un percorso narrativo senza particolari sussulti ma è di certo impregnata di episodi autobiografici, come la scena in cui il padre picchia violentemente Paul. In sostanza un film dalle ottime intenzioni che traccia un parallelismo intelligente tra due epoche divise da 40 anni di storia ma che hanno molto in comune.

Un testimone innocente

È sicuramente tra gli animali più vituperati dal genere umano, tanto da essere considerato il sinonimo di stupidità, stoltezza e testardaggione. Eppure, dopo aver assistito alla proiezione di EO, il nuovo film dell’84.enne regista polacco Jerzy Skolimovski, l’asino assurge a testimone lucido, melancolico, ma soprattutto innocente, di un’epoca dominata dal cinismo e dalla superficialità. EO (onomatopea del suo raglio che in italiano suonerebbe IA) è il nome dell’assoluto protagonista di questa favola contemporanea che si svolge tra la Polonia e l’Italia. È attraverso i suoi occhi che vediamo il mondo, il nostro mondo umano, che fa davvero una pessima figura. EO è costretto ad abbandonare il circo dove vive felicemente insieme alla giovane e dolce Kassandra che si esibisce con lui. Inizia allora un periplo durante il quale si alternano momenti di pace ad altri di paura, dolore e violenza gratuita. Con questo film magistrale, impreziosito dalla fotografia di Michal Dymek e dal fantasmagorico commento musicale di Pawel Mykietin, Skolimovski ha voluto rendere omaggio al capolavoro di Robert Bresson Au hasard Balthazar (1966), l’unica opera, afferma il regista, che sia riuscita a strappargli una lacrima al cinema. E anche EO sa commuovere lo spettatore, grazie soprattutto ai sei asini di razza sarda (Hola, Tako, Marietta, Ettore, Rocco e Mela) chiamati a incarnare a turno il protagonista. Agli interpreti umani (tra cui Lorenzo Zurzolo e Isabelle Huppert) resta ben poco spazio.