Il mio festival

«L'edizione più bella? Quella del 2023, la pandemia ormai era un ricordo»

Locarno Film Festival: l'intervista ad Arminio Sciolli, direttore del Rivellino leonardesco
Prisca Dindo
13.08.2024 06:00

Figlio di ambasciatori, collezionista, uomo di cultura giramondo, amante dell’arte in tutte le sue declinazioni. Quando lo interpelliamo per capire  come preferisce definirsi, Arminio Sciolli risponde con un ricordo. «Una volta, incrociai in un autogrill una bambina accompagnata dalla sua famiglia. Quando mi vide esclamò con grande stupore: “Papà, papà! Guarda: c’è il signore del Rivellino di Locarno che abbiamo visto in Tv!” Ecco: questa è la definizione di me stesso che amo di più» dice, scoppiando in una delle sue risate contagiose. In effetti, nell’immaginario collettivo dei ticinesi, Arminio Sciolli e la  fortezza locarnese attribuita di recente a Leonardo Da Vinci sono una cosa sola. Fin dal 1989, quando con il fratello Paolo decise di comprare quelle mura inattive da decenni per trasformarle anni dopo in un centro culturale più vivo che mai.

Da allora, le collaborazioni del Rivellino con il Festival si sono moltiplicate, pur con alti e bassi. «Tuttavia, per noi l’edizione migliore è stata quella del 2023, l’ultima di Marco Solari in veste di presidente. Lo scorso anno, noi ospitammo una mostra con le opere sperimentali di Tsai Ming-liang, il maestro taiwanese insignito dal festival con il pardo alla carriera. È stata l’edizione più bella perché la gente si muoveva di nuovo senza problemi. La pandemia era ormai soltanto un ricordo e finalmente si respirava aria di libertà». Per Arminio Sciolli, gli undici giorni «pardati» sono i più belli dell’anno. Anche l’internazionalità è un mondo che conosce da vicino. L’infanzia dei fratelli Sciolli è costellata dei traslochi al seguito del papà ambasciatore: Berna, Roma, Parigi, Guatemala City, Caracas, Milano.

«Anche qui arriva tanta gente, si scambiano opinioni, ci si confronta: il Festival diventa più importante di Art Basel e del festival di Montreux, e Locarno si trasforma nella capitale svizzera della cultura. Qui si incontrano i consiglieri federali senza scorta, i funzionari che contano insieme con gli ambasciatori, gli artisti davanti e dietro le cineprese; l’ambiente è informale perché quello di Locarno non è un festival hollywoodiano. È in questi ambienti che nascono registi del livello di Milos Forman, Stanley Kubrick,  Jim Jarmusch. Sono le belle sorprese che abbiamo la fortuna di vedere. Sa una cosa? Farei carte false per far durare la manifestazione  tutto l’anno», annota divertito.

Arminio Sciolli non si definisce un cinefilo accanito. «Lo ero una volta, ora credo che non sia necessario vedere troppi film; meglio pochi ma buoni». Tuttavia, pur di non perdersi un film a cui tiene è disposto a sfidare le intemperie, sedendosi in piazza Grande anche sotto una pioggia battente. «Ricordo un film cambogiano che ho visto mentre imperversava un diluvio universale. È stato bellissimo! Pioveva talmente che mi sembrava di vivere nella stessa selva umida  del protagonista vietnamita; anche le proiezioni a tarda notte e a  fine festival mi affascinano, quando c’è poca gente perché è finito tutto, ma lo schermo di Locarno rimane una magia». 

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