Il personaggio

Lo sciopero di Hollywood con gli occhi di un ticinese

Amos Sussigan da tempo ha conquistato l'America: «Questa decisione da parte degli attori non è una sorpresa, gli sceneggiatori avevano già lanciato un segnale»
© CdT/Chiara Zocchetti
Marcello Pelizzari
18.07.2023 09:30

Amos Sussigan, classe 1989, vive il cinema in ogni sua forma. È regista, sceneggiatore, visual designer. Partito da Locarno, ha conquistato l’America grazie (anche) al suo lavoro per il sequel di Space Jam. Al Festival, invece, sarà membro della Giuria dei Pardi di domani. Lo raggiungiamo fra un impegno e l’altro. Per parlare del tema caldo del momento: lo sciopero degli attori di Hollywood.

Nessuna sorpresa

«Innanzitutto – dice – non è una sorpresa». Già, da tempo l’industria è in difficoltà o, meglio, vive relazioni fra le parti molto, troppo complicate. «Io che lavoro principalmente nell’animazione sono sotto un altro sindacato rispetto a quello che ha indetto lo sciopero, SAG-AFTRA. Ma le dinamiche, anche nel mio campo, sono molto simili».

Soprattutto, spiega Sussigan, per l’utilizzo dell’intelligenza artificiale, la cosiddetta AI. «Quando noi dell’animazione abbiamo rinnovato l’accordo collettivo, fra la fine del 2021 e l’inizio del 2022, questo discorso non era ancora emerso. Ma salterà fuori, sicuramente, alla prossima contrattazione con gli studios, posto che anche noi all’epoca eravamo vicini al far saltare tutto». Il nostro interlocutore, al momento, sta lavorando a una produzione fra Londra e Montréal, fuori sindacato dunque, «e a dirla tutta fa un certo effetto».

Il doppio sciopero

A far discutere, ora, è anche la concomitanza di questo sciopero con quello degli sceneggiatori, avviato lo scorso aprile. «E quella – spiega il ticinese – era una sorta di premonizione. Da tempo la categoria degli scrittori, a Los Angeles, fa fatica. Anche perché il costo della vita, in California, è quadruplicato. Parallelamente, il modello Netflix – se così vogliamo chiamarlo – ha ridotto e di molto le paghe. Prima, infatti, gli sceneggiatori venivano retribuiti ogniqualvolta un film o un telefilm veniva trasmesso in televisione. Ora, beh, l’orizzonte è cambiato: le piattaforme, ad esempio, non dicono quante visualizzazioni genera un determinato prodotto né quante sottoscrizioni produce».

Per tacere delle strategie di marketing. «La Warner, quando fece uscire il sequel di Space Jam, decise di sfruttare sia le sale cinematografiche sia, in contemporanea, lo streaming tramite la sua piattaforma HBO Max. Questo diede una bella visibilità al canale streaming, mentre il botteghino ne risentì».

Nessuno pensa, in questi casi, all’attore secondario che, magari, in un film deve recitare solo una frase o mezza battuta
Amos Sussigan, regista, sceneggiatore, visual designer

Divi e comparse

Lo sciopero degli attori, in un certo senso, stride con l’immagine che tutti noi abbiamo di Hollywood. Ma, e Sussigan può confermarlo, Los Angeles non è popolata soltanto da divi assoluti e strapagati. «Nessuno pensa, in questi casi, all’attore secondario che, magari, in un film deve recitare solo una frase o mezza battuta. Tant’è che, in questi giorni, i media chiedono opinioni sullo sciopero quasi esclusivamente alle star. Il problema, appunto, è il sistema».

E Sussigan, al riguardo, fa un esempio concreto. Personale, anche. «Il sequel di Space Jam, un live action molto grosso, poteva contare su circa trecento comparse. Parliamo di persone che, per tre mesi, ogni giorno, hanno vissuto negli studios. Persone cui bisognava garantire colazione, pranzo e cena, oltre a una paga. A un certo punto, però, la produzione visti i costi ha tagliato corto: ha effettuato degli scan corporei a vari collaboratori e, tramite la tecnologia, ha ricreato delle comparse da usare per gli sfondi. Se ci ripenso, è una cosa incredibile: pure io sono finito in questo stanzone con quattrocento telecamere che, appunto, effettuavano il live scan».

L'intelligenza artificiale

L’intelligenza artificiale, dicevamo, sta rivoluzionando il cinema. Anche, se non soprattutto, quello di animazione. «E questa cosa, un po’, mi fa venire l’amaro in bocca» dice Sussigan. «Anche perché le versioni attuali di ChatGPT o Midjourney migliorano di minuto in minuto, saranno sempre più performanti. E già adesso, con un minimo sforzo, soprattutto nell’animazione puoi ottenere risultati fuori di testa. E, analogamente, risparmiare tempo. Intendiamoci: io non sono contro l’uso dell’intelligenza artificiale, non vorrei sembrare come quei disegnatori che, a suo tempo, si opponevano ai computer sostenendo che matita e foglio di carta erano un’altra cosa. Ma in quel caso si passava da una forma di disegno a un’altra, dietro c’era comunque una persona. Qui, invece, cambia tutto».

Dovremo abituarci, di conseguenza, a interi film costruiti sfruttando l’AI? Snì. «Un occhio allenato e attento saprà sempre riconoscere la differenza» sostiene il nostro interlocutore. «E, alla fine, se parliamo di animazione un buon design si riconosce innanzitutto dalla presenza o meno di intenzionalità. L’AI può copiare un modello già esistente o dare un’idea assemblandone altre, ma poi? Senza contare che, di fondo, c’è un problema enorme di copyright: queste piattaforme utilizzano il lavoro e gli sforzi di un sacco di artisti per produrre qualcosa. Ai miei occhi questo è rubare. Ma non mi sorprendo, le autorità in America fanno ancora a capire la differenza fra Twitter e Facebook figuriamoci come stanno affrontando l’avvento dell’intelligenza artificiale».

Se prendiamo una serie come Squid Game ci accorgiamo che i suoi creatori hanno guadagnato poco o nulla, dato che la serie venne acquistata da Netflix a basso costo. Con accordi alla vecchia maniera, diciamo, i creatori visto il successo avrebbero fatto molti più soldi

Il modello Netflix

Sussigan, prima, citava il modello Netflix. Piattaforma che, al pari di molte altre, sta puntando sempre più su altri mercati, come quello europeo e sudcoreano. Non è che, sulla scia di successi come Squid Game, questi colossi siano immuni a uno sciopero simile? Della serie: tanto ci sarà sempre qualche serie o film da buttar fuori e dare in pasto al pubblico. «Il problema è che questa piattaforma pesca nel mazzo e, in seguito, spera che il prodotto funzioni» dice il ticinese. «Non c’è la stessa cura che noto, invece, in HBO. E poi, ancora, se prendiamo una serie come Squid Game ci accorgiamo che i suoi creatori hanno guadagnato poco o nulla, dato che la serie venne acquistata da Netflix a basso costo. Con accordi alla vecchia maniera, diciamo, i creatori visto il successo avrebbero fatto molti più soldi».

Infine, la domanda delle domande. Che cosa succederà? «La realtà è che, al di là delle ragioni di attori e sceneggiatori e del pensiero degli studios, peraltro divisi fra loro sulla questione, il prossimo autunno non ci saranno nuove serie o nuovi film. Ed è un problema serio, con ripercussioni pure per l’Academy in termini di promozione. In quanto attore, come abbiamo visto con Oppenheimer, non puoi partecipare alle première o ancora ai festival. Un guaio in particolare per Venezia e Toronto».

Anche il Locarno Film Festival, pochi giorni fa, ha preso posizione su quanto sta accadendo. Significa che Piazza Grande sarà pure una vetrina per discutere le problematiche che affliggono il sistema cinema? «Non saprei, lo spero. Resta, come detto, che intelligenza artificiale e compensi sono temi molto caldi».

Correlati
Quando Hollywood si ferma
Rimandata la disponibilità degli attori americani a nuove produzioni, oltre che la partecipazione a festival come Locarno - Il grande nemico è lo streaming, che peraltro non sta vivendo un gran momento - Sullo sfondo, i timori legati all’uso dell’intelligenza artificiale