L'intervista

«Locarno da sempre ama il cinema britannico»

Per il secondo anno consecutivo è Ehsan Khoshbakht, iraniano trapiantato a Londra e co-direttore del Cinema Ritrovato a Bologna, a curare la Retrospettiva: alla (ri)scoperta del cinema inglese del secondo dopoguerra, dal 1945 al 1960
© KEYSTONE/Jean-Christophe Bott
Max Borg
07.08.2025 06:00

Per il secondo anno consecutivo è Ehsan Khoshbakht, iraniano trapiantato a Londra e co-direttore del Cinema Ritrovato a Bologna, a curare la Retrospettiva di Locarno. Dopo il centenario della Columbia Pictures nel 2024, questa volta si va alla (ri)scoperta del cinema inglese del secondo dopoguerra, dal 1945 al 1960. Come da consuetudine, abbiamo approfondito la questione tramite una chiacchierata con Khoshbakht.

Prima di parlare del 2025, torniamo allo scorso anno. Com’è stata la sua prima esperienza con Locarno e il suo pubblico?
«È stata la prima volta che presentavo tutti i film in un unico luogo, dalle 9 alle 22, e non dovermi spostare da una sala all’altra con il caldo che faceva a Locarno era senz’altro positivo. La sala del GranRex è magnifica e ho imparato a conoscere bene il pubblico, perché già dopo un paio di proiezioni riconoscevo i volti di coloro che venivano regolarmente a vedere tutto il programma o quasi, era circa un quarto del pubblico. Erano i veri appassionati della Retrospettiva e poi venivano anche persone nuove che forse volevano curiosare nel passato dopo aver visto i titoli recenti nelle altre sezioni del Festival. L’unica lamentela riguardava l’assenza dei sottotitoli, che non era di mia competenza. Quest’anno quasi tutti i film ne sono provvisti, o in italiano o in francese».

Lo scorso anno era un programma che ruotava attorno a un unico studio, la Columbia. Quest’anno si tratta della cinematografia di un’intera nazione, per quanto circoscritta a un periodo preciso. Il lavoro di selezione è stato più complesso?
«Decisamente. L’anno scorso era anche un omaggio all’archivio della Columbia, che ora è della Sony. In questo caso molti dei film vengono dall’archivio del British Film Institute, che però o non ha tutte le copie, o le ha ma non in condizioni proiettabili, perché risalgono agli anni Ottanta e sono state mostrate ripetutamente, con gli inevitabili segni del tempo che ne conseguono. Quindi alcuni film li ha forniti StudioCanal, altri ITV. E la ricerca dei materiali ha confermato una cosa che sospettavo da tempo e ora posso affermare con certezza: il cinema inglese è per lo più irreperibile fuori dal Regno Unito. Almeno per quanto riguarda la mia selezione, non si trovava praticamente nulla negli archivi stranieri».

Che è anche un po’ il senso di questo programma: far conoscere al pubblico locarnese e internazionale dei titoli che non sono particolarmente noti a livello mondiale.
«Esatto. E dopo le proiezioni a Locarno questa Retrospettiva viaggerà in altri Paesi. E spero che questo possa convincere il governo inglese ad adottare una politica di restauro più rigorosa e regolare, simile a quella che esiste in Francia o in Italia. Il BFI dispone degli elementi originali di questi film, sarebbe auspicabile fornire i finanziamenti per ottenere le copie restaurate».

La sala del GranRex è magnifica, e ho imparato a conoscere bene il pubblico

Ci sono dei titoli a cui ha dovuto rinunciare perché non disponibili nelle condizioni giuste?
«Mi sarebbe piaciuto includere The Proud City: A Plan for London (1946), un breve documentario sulla ricostruzione di Londra dopo la guerra. È un film notevole, ma il BFI non aveva proprio la copia. Trattandosi di un’opera commissionata dal governo, può darsi che prima o poi salti fuori in qualche altro archivio. E ho quasi dovuto rinunciare a The Clouded Yellow (1950), che è una sorta di precursore dei film di James Bond e che cerco sempre di includere quando faccio una rassegna sul cinema britannico. La copia del BFI era praticamente a pezzi. Ce n’è un’altra nelle collezioni del Cinema Museum a Londra, ma è la versione uscita in Irlanda, con circa dieci minuti di tagli. Unendo le due versioni siamo riusciti a ottenere una copia completa, che però rimane la più fragile di quelle che proietteremo a Locarno. E negli ultimi dieci secondi dovremo passare dalla pellicola al digitale perché la versione irlandese ha una didascalia finale diversa e sembrerebbe che manchi qualcosa».

L’anno scorso una delle regole che si era autoimposto era quella di un solo film per regista. Quest’anno ci sono alcuni cineasti con due titoli in programma. Come mai?
«Perché volevo far conoscere meglio dei nomi quasi ignoti al pubblico internazionale, come Lance Comfort che è il mio grande dono alla comunità cinefila tramite questa Retrospettiva. Tra l’altro il mio processo di selezione è stato un po’ diverso rispetto a quello del 2024. Ci sono meno film che ho visto per la prima volta facendo le ricerche, perché in questo caso, data la quantità di titoli papabili, sono partito proprio da un elenco di registi e ho valutato quali dei loro film volessi presentare».

Quest'anno quasi tutti i film in cartellone sono provvisti di sottotitoli o in italiano o in francese

Il bello delle retrospettive è anche vedere come i film del passato dialoghino con il presente. C’è in programma, per esempio, Passaporto per Pimlico (1949), una commedia dove una regione dell’Inghilterra dichiara l’autonomia dal resto della nazione. Come funziona oggi, nel mondo post-Brexit?
«Pensavo proprio a quel film, perché può essere visto come pro-Brexit o anti-Brexit, a seconda dell’interpretazione del pubblico. Ma anche Nudi alla meta (I’m All Right Jack, 1959), con Peter Sellers. È a favore dei sindacati, o contro di essi?».

La Retrospettiva si chiude con L’occhio che uccide (Peeping Tom, 1960). Cosa si aspetta da quella proiezione, date le vicende di quel film?
«È la chiusura ideale, perché anticipa tutto ciò che verrà dopo nel cinema inglese. E credo che la proiezione andrà bene, perché è proprio a Locarno che la reputazione del film e del suo regista Michael Powell andò incontro a una prima riabilitazione, nel 1982. Ne parlavo con Ian Christie, che accompagnò Powell in quell’occasione ed è un ricordo molto emozionante. E più in generale, Locarno ha sempre avuto un occhio di riguardo per la cinematografia britannica, dando ampio spazio a registi che non sono mai stati selezionati a Cannes, Venezia o Berlino».

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