Il ricordo

Mauro (Maurino) Di Francesco era uno di noi

Addio a un attore che ha avuto al tempo stesso tanta e poca fortuna – Una vita volata via, come quelle estati al di sopra dei nostri mezzi, attaccati al Riva del commendator Carraro
Stefano Olivari
25.10.2025 19:30

Milioni di persone salutano Maurino. Perché Mauro Di Francesco era e sarà per sempre Maurino, uno di famiglia, uno di noi, grazie a pochi film negli anni Ottanta e Novanta, alle tante occasioni perdute che permettono ai numeri due di essere amati e anche a un atteggiamento ironico nei confronti del successo, dell’insuccesso e in definitiva della vita. Ma al di là degli articoli scritti con il copia e incolla o l’AI, pieni di elenchi, perché Mauro Di Francesco è stato importante?

Numero due

Prima di tutto Di Francesco ha vissuto i suoi momenti di gloria negli anni Ottanta, decennio che ha inventato la nostalgia di massa e diventato oggetto della nostalgia anche di chi non lo ha vissuto. Protagonista o co-protagonista di film guardabili anche per la centesima volta come I fichissimi, Sapore di mare 2, Il ras del quartiere, Chewingum, Puro cashmere, sconfinando nei Novanta con Abbronzatissimi: pellicole, come si diceva una volta, che si amano o che si odiano, ma senza discussione sul fatto che fossero capaci di raccontare il loro presente. Che poi era il presente di Di Francesco, arrivato al successo non come amico di Abatantuono, come molti credono, ma dopo una lunghissima gavetta iniziata in famiglia (i genitori lavoravano nel teatro, come assistente alla produzione e come sarta) e proseguita come comparsa addirittura con Strehler e altri registi importanti. Senza contare il mitico e mitizzato Derby, il defunto locale di Milano, non lontano da San Siro, che portò al successo una quantità incredibile di attori, musicisti e cabarettisti: Jannacci, Abatantuono, Boldi, Teocoli, Pozzetto, Faletti, Jerry Calà, eccetera. In quel contesto incredibile Di Francesco non fu mai un numero uno, ma aveva una qualità rarissima che i colleghi rispettavano: sapeva far ridere in maniera naturale, con il suo stesso atteggiamento, senza bisogno di copioni. Un po’ come Guido Nicheli, il Dogui, che al Derby era entrato non come attore ma come rappresentante di alcolici.

Abatantuono

Al Derby nacque la grande amicizia con Abatantuono, milanese di quattro anni più giovane (Maurino era del 1951) e di tutt’altra estrazione: Di Francesco grazie ai genitori aveva respirato fin dall’infanzia un ambiente artistico, mentre Abatantuono veniva dalle Case Minime (case popolari, in linguaggio del 2025) del Giambellino, figlio di un calzolaio e della guardarobiera del Derby. All’inizio degli anni Ottanta raggiunsero il grande successo quasi in contemporanea e nel 1981 diventarono di culto con I fichissimi, anche se già nel film di Vanzina era chiaro chi sarebbe diventato il numero uno e chi il due, chi il maschio Alfa e chi quello Beta. Maurino aveva comunque una sua identità autonoma, non era Ugo Conti. Ma da Abatantuono fu involontariamente danneggiato: i Vanzina gli avevano assegnato la parte di Luca Carraro nel primo Sapore di Mare, ma lui rifiutò per girare il tremendo Attila flagello di Dio insieme all’amico. In pratica preferì fare il coprotagonista in un film di Serie B già nelle premesse, con i Cecchi Gori che avevano speso tutto il magro budget per Abatantuono, invece che il protagonista in una produzione con altre ambizioni. Questo al di là del fatto che Sapore di mare sarebbe diventato il film simbolo degli anni Ottanta insieme a Vacanze di Natale, visto che all’epoca nessuno poteva prevederlo.

Sapore di mare 2

Quel gran rifiuto costò a Di Francesco il rapporto con i Vanzina, anche se poi (ma per intercessione di Abatantuono, che si sentiva in colpa) avrebbero lavorato insieme ne Il ras del quartiere e nel brutto seguito di Eccezzziunale veramente, che di fatto lo etichettò come inadatto a fare il protagonista, anche se la grande occasione si presentò quasi subito, con il secondo Sapore di Mare, quello di Bruno Cortini. Nemmeno qui Di Francesco fu protagonista, ma all’ennesima visione del film si rimane ancora stupiti da come giganteggi nei panni immortali di Uberto, l’autista che si finge figlio del padrone per conquistare Alina, che a sua volta finge di essere ciò che non è. Nell’aereo con lo striscione «Alina ti amoooooo» c’è tutto, anche la realtà visto che Maurino e l’attrice di Alina, Pascale Reynoud, si sarebbero sposati: un matrimonio con un figlio e una fine abbastanza veloce, in un’epoca in cui la carriera di lui andava comunque a tutta velocità, con tutti gli annessi e connessi, come il bere ai confini dell’alcolismo e anche oltre. I litigi fra Uberto e Alina nel finale del film furono profetici.

Imbranato

Al di là di Sapore di mare e degli altri film fondamentali per capire gli anni Ottanta, Maurino doveva il suo successo alla credibilità come ragazzo al tempo stesso simpatico e imbranato, senza sovrastrutture politiche o etiche. Il ragazzo della porta accanto che si distingueva anche per l’accento milanese, allora e ancora di più oggi una rarità in cinema italiano romanocentrico. Maurino l’antieroe non aveva bisogno di battute volgari per far ridere, la sua comicità era basata sulla mediocrità delle vite reali. Fra l’altro una comicità modernissima, che proponeva un tipo di uomo non aggressivo, perfetto in quell’Italia spensierata e auspicabile in quella di oggi. Come ha raccontato lui più volte, «la risata nasce dalla verità». E il pubblico sentiva e sente la verità di Maurino. Per rimpiangerlo non c’è bisogno di definirlo maestro di cinema o in altri modi polverosi per rimpiangerlo.

Il declino

Sembra assurdo dirlo, ma una delle cose più belle della carriera di Maurino è stata il declino. Dignitoso, grazie anche ai tantissimi soldi incassati negli anni Ottanta, e soprattutto scelto una volta resosi conto che il suo personaggio si era esaurito. Dopo il secondo Abbronzatissimi Di Francesco avrebbe accettato pochissime proposte, e solo di amici come Calà e Abatantuono. Per scelta e non soltanto per la cirrosi epatica che lo avrebbe portato al trapianto di fegato. Fra l’altro negli anni Novanta Di Francesco aprì anche un ristorante a Milano, il Mangia e ridi, con l’obbiettivo di ricreare l’atmosfera del Derby fra cabaret e gruppi di amici: un bel locale, ma Maurino non era un imprenditore. Da quasi vent’anni si era ritirato in Toscana con la seconda moglie Antonella, facendo una vita appartata, fra pittura, lettura e partite del Milan in televisione, vedendo pochi amici e concedendo pochissime interviste. Un’autoreclusione interrotta solo nel 2019 per una piccola parte in Odissea nell’ospizio. Un finale quasi hollywoodiano per un attore che ha avuto al tempo stesso tanta e poca fortuna. Una vita volata via, come quelle estati al di sopra dei nostri mezzi, attaccati al Riva del commendator Carraro.