Ciao Betty

Nella Svizzera al maschile una donna osò essere geniale

L'eclettico regista Pierre Monnard racconta con garbo la storia di Emmi Creola, l'inventrice di Betty Bossi, simbolo unificatore di un Paese del tutto diverso da quello di oggi
Antonio Mariotti
22.11.2025 06:00

La Svizzera della seconda metà degli anni Cinquanta era molto diversa da quella di oggi, tanto che i film o le serie tv ambientate in quel periodo emanano un fascino per certi versi esotico. La società era a guida totalmente patriarcale, le donne non avevano ancora diritto di voto (l’otterranno solo nel 1971) e la presenza di stranieri, soprattutto di emigrati italiani, era vista con sospetto sia da parte della popolazione che dalle autorità. Che in quel contesto una donna che lavora (per giunta una madre di famiglia) osasse avere, e difendere, un’idea più originale e innovativa rispetto a quelle dei suoi colleghi e dei suoi superiori maschi, era qualcosa di quasi inimmaginabile se non addirittura irrispettoso. Eppure c’è chi, come la protagonista di Ciao Betty, ci ha creduto fino in fondo e, nonostante gli ostacoli di ogni genere che ha incontrato sul suo cammino, è riuscita a dar vita a un personaggio immaginario che ancora oggi, in un Paese contraddistinto da una realtà sfaccettata dal punto di vista linguistico e culturale, assume i contorni del simbolo unificante. Insomma: scagli la prima pietra chi può assicurare di non aver mai sentito parlare di Betty Bossi, delle sue ricette e dei suoi manicaretti preconfezionati che hanno fatto la fortuna di una grande catena di supermercati elvetici.

Il film diretto da Pierre Monnard (unico regista svizzero capace di alternare con successo serie tv e lungometraggi sia in ambito germanofono che francofono: da Platzspitzbaby a Bisons, da Wilder a Hors Saison e Winter Palace) è sostanzialmente una commedia di costume incentrata sulla figura di Emmi Creola, la sorprendente – eppure tanto normale – creatrice della rassicurante Betty. Tra le righe dell’ottima sceneggiatura (opera di André Küttel, già complice di Monnard in precedenti occasioni) emergono però numerose dinamiche fondamentali della Svizzera dell’ultimo dopoguerra, dove il boom economico sta muovendo appena i primi passi grazie anche all’imporsi dei supermercati e della pubblicità. In questo senso, Ciao Betty rifà il verso – in maniera più garbata e meno provocatoria – a L’ordine divino di Petra Volpe: Emmi/Betty non è una suffragetta né tanto meno un’attivista politica, ma anche lei è tra le donne che hanno osato infrangere quella spessa barriera di cristallo che divideva le donne dal mondo dell’economia reale riservato ai soli uomini.

Oltre che sulla regia precisa e mai egocentrica di Pierre Monnard, Ciao Betty può contare su un’eccezionale ricostruzione d’epoca e su un cast indovinato e sempre all’altezza. La protagonista, Sarah Spale, in particolare, riesce ad essere convincente in tutti i ruoli che la coinvolgono (madre, moglie, creativa, imprenditrice). E non è poco.

«Ciao Betty» («Hallo Betty») Regia di Pierre Monnard. Con Sarah Spale, Martin Vischer, Vera Flück, Viviana Zappa, Leonardo Nigro, Cyril Metzger (Svizzera 2025, 110’).