Vita da Cannes

Quando politica e memoria stanno al centro dello schermo

Come sempre, tra i film proposti in concorso non mancano i titoli che mettono in scena vicende legate al passato o al presente di Paesi dove la situazione istituzionale non è mai troppo tranquilla, come il Brasile o l'Egitto
©GUILLAUME HORCAJUELO
Antonio Mariotti
20.05.2025 06:00

Uno degli immancabili rituali dei frequentatori del Festival di Cannes è la lettura dei quotidiani cinematografici pubblicati durante i 12 giorni della manifestazione. L’edizione di ieri di «Screen International» mostrava ad esempio come, per la giuria di 12 critici provenienti da tutto il mondo che assegnano giorno per giorno le stelle ai film del concorso, il favorito rimanga (dopo 10 titoli su 22) Due procuratori del regista ucraino Sergei Loznitsa. Più sorprendente la copertina (che viene venduta come pubblicità) di «Le Film Français» dedicata allo Sharjah International Film Festival for Children and Youth, che si tiene dal 2013 a Sharjah, terza città per importanza degli Emirati Arabi Uniti dopo Dubai ed Abu Dhabi, governata sin dal XVII secolo dalla dinastia degli Al Qasimi. Due messaggi di segno diverso ma entrambi fortemente politici, anche se Cannes rifugge ogni sorta di politicizzazione preferendo richiamarsi agli ideali di libertà che hanno determinato la sua nascita nel 1939, quale risposta democratica a una Mostra di Venezia fascistizzata.

Storie di dittature

E come capita ogni anno, anche il concorso 2025 ha già visto in lizza alcuni film dal contenuto fortemente politico. Nel corso del weekend si è visto ad esempio O Agente Secreto del regista brasiliano Kleber Mendonça Filho che (pur se con qualche lungaggine nelle sue 2 ore e 38 minuti) imbastisce un profondo viaggio nel passato del grande Paese sudamericano e in particolare nella seconda metà degli anni Settanta, nel pieno di quella dittatura militare che governò il Brasile in maniera violenta e autoritaria per oltre vent’anni. Un film che sceglie di battere i sentieri del cinema di genere dai toni gangsteristici, che ben si affianca nella sua diversità di toni al recente Io sono ancora qui di Walter Salles. Segno che il cinema brasiliano sente la necessità di fare i conti con un passato scomodo e ancora poco esplorato. Ieri è tornato in concorso, dopo il successo del 2022 con La cospirazione del Cairo, anche il regista svedese di origine egiziana Tarik Saleh che in Le Aquile della Repubblica ritrova il suo attore feticcio (e dalle stesse origini) Fares Fares nei panni di una star del cinema nazionale: George El-Nabawi. Per non cadere in disgrazia presso le alte sfere del regime militare, l’ineffabile George si ritroverà coinvolto in un inghippo più grande di lui. Come sempre Saleh, che non può più mettere piede in Egitto, ha dovuto ricreare Il Cairo altrove, questa volta ad Istanbul. Sarebbe interessante sapere se questi due film saranno programmati anche al Festival di Sharjah.