Tracce del futuro di Locarno nella storia di Maja Hoffmann
Uno degli ultimi articoli del quotidiano francese LaProvence in cui compare il nome di Maja Hoffmann riguarda l’apertura di una panetteria in pieno centro ad Arles, lo scorso 19 luglio. «Ce n’est pas vraiment là qu’on l’attendait», attacca il pezzo. «Non è il progetto che ci si attendeva da lei». E invece, a ben guardare, quella panetteria «che produce soltanto pane e brioche, e nient’altro» e che «utilizza unicamente farine bio e lieviti naturali a lunga fermentazione» rivela molto della personalità e dell’approccio con cui la mecenate svizzera e presidente designata del Locarno Film Festival affronta le cose.
Il legame con la terra
Lo racconta lei stessa, in un’intervista video facilmente reperibile sulla rete in cui ripercorre il suo legame con la Camargue e la relazione profonda che uniscono la fondazione LUMA (da lei presieduta) a quella terra.
«La Camargue è un luogo che mi ha dato molta libertà. Un territorio che ho potuto esplorare da sola e attraverso la guida di mio padre, il quale sin da piccoli ci ha insegnato a guardare la natura con occhi diversi rispetto alle convenzioni del tempo. Non si trattava di andare allo zoo, ma di capire che eravamo parte integrante di questo meraviglioso spettacolo». E ancora: «Con mio padre (che in Camargue si era trasferito con tutta la famiglia per creare una stazione di osservazione e di conservazione per volatili, ndr) abbiamo imparato ad essere gentili con la natura».
Ed è proprio grazie alla Camargue e all’attività scientifica del padre ornitologo che questo modo di intendere la natura si è imposta spontaneamente nella visione della mecenate svizzera, fondatrice e ideatrice del campus Luma ad Arles.
Per sua stessa ammissione, il centro LUMA doveva quindi diventare un’estensione duratura della visione e dell’attività paterna: «Ho pensato che fosse importante avere ad Arles, capitale della Camargue, un centro dove organizzare congressi e discussioni, tanto sulla natura e sull’ambiente, quanto sull’arte e la creazione artistica».
L’atto fondante di questo progetto da 100 milioni di euro va quindi ricondotto alla volontà della sua ideatrice di riportare la natura al centro dell’attività umana, secondo un approccio olistico che mette in relazione arte e scienza, ricerca artistica e scientifica.
Oltre il museo tradizionale
Inaugurato due anni fa, il 28 giugno 2021, il complesso comprende sei edifici che ospitano spazi per mostre e installazioni, un archivio, una residenza per artisti, un ristorante, un hotel e un laboratorio di Design e ricerca. Il tutto costruito su uno scalo ferroviario dismesso nel centro cittadino all’interno di un grande parco che unisce ognuna di queste strutture.
Cuore pulsante del progetto è la torre dell’architetto americano Frank Gehry, un edificio di dieci piani che svetta su Arles e che, nelle intenzioni del suo ideatore, dialoga sia con La Notte stellata di Van Gogh, dipinta nel 1888 in Provenza; sia con le falesie calcaree delle Alpille, una piccola catena montuosa tipica della regione.
«Un edificio pittorico» (così lo ha definito Gehry stesso) ricoperto da 11 mila pannelli d’acciaio inossidabili, inclinati per catturare e riflettere la luce del sole da migliaia di angolazioni. Una struttura che per volontà della sua mecenate doveva anche essere il simbolo di una rinascita; un po’ come il Guggenheim di Bilbao per la città portuale in Spagna. Non a caso, Maja Hoffmann ha affidato il progetto a Gehry, con l’imperativo che anche Arles dovesse reinventarsi attraverso l’arte, sfruttando il cosiddetto «effetto Bilbao» (vedi box a lato).
Torre d’avorio?
In città, tuttavia, non è sempre andato tutto liscio. Per ottenere l’approvazione finale, il progetto è stato rivisto più volte. La torre ha dovuto superare le resistenze di chi ne criticava aspramente l’impatto architettonico. Per una parte della popolazione la torre è così diventata il simbolo elitario di una cultura che poco ha a che fare con quella regione. Maja Hoffmann, dal canto suo, ha sempre difeso il progetto nella convinzione che potesse rappresentare un’opportunità economica e culturale. Che l’arte, insomma, potesse cambiare in meglio Arles. Per i suoi detrattori invece Hoffmann avrebbe semplicemente anteposto i propri interessi personali.
Ma al di là delle polemiche che un progetto capillare di questo genere può suscitare in una comunità di 50 mila abitanti - soprattutto se finanziato da un singolo privato miliardario -, l’idea che caratterizza il LUMA, ossia l’interdisciplinarietà tra arte e scienza, rappresenta sicuramente un valore che illustra bene il modo in cui la presidente designata del Locarno Film Festival intende la cultura: un arcipelago in cui varie discipline e persone possono dialogare e influenzarsi reciprocamente.
L’arte insomma come linguaggio di un discorso più grande che riguarda l’uomo e il suo contesto. In questo senso, come più volte dichiarato da Maja Hoffmann stessa, il LUMA va sicuramente oltre la tradizionale idea di museo o centro culturale, restituendo alla creazione artistica una indubbia valenza politica.