Un uomo, una donna e... Godard

Il Festival di Cannes non ha soltanto i suoi riti (ieri si è consumato quello che vede le famiglie, con tanto di pargoli, accorrere in massa sulla Croisette), ma anche i suoi miti. Ad alcuni di loro (i fratelli Lumière, André Bazin, Luis Bunuel, Agnès Varda) è stata dedicata una sala di proiezione all’interno del Palais, altri vengono coltivati con maggior riserbo ma approfittando di ogni opportunità per farli rivivere sullo schermo. Uno di questi, forse il più importante ma in una certa misura controverso, è il regista franco-svizzero Jean-Luc Godard, scomparso nel 2022 all’età di 92 anni. Nel 2023 e nel 2024 a Cannes si sono viste ancora delle sue opere o dei suoi ritratti filmati, quest’anno è toccato a Richard Linklater (uno dei cineasti americani più cinefili in assoluto) portare in concorso il suo nuovo lungometraggio Nouvelle Vague che fa rivivere in una deliziosa commedia l’ambiente che si respirava nella Parigi del 1959 attorno ai «Cahiers du Cinéma» e ai suoi critici irriverenti che avevano deciso di passare dietro la macchina da presa. Ci sono Truffaut, Chabrol, Rohmer e appunto Godard, ambizioso e frustrato, che sarà l’ultimo a compiere il grande balzo girando Au bout du souffle con Jean Seberg e Jean-Paul Belmondo. Nouvelle Vague (che è anche il titolo di un’opera di Godard del 1990) racconta la preparazione e le riprese del film, utilizzando dei giovani e sconosciuti attori francesi che somigliare come gocce d’acqua ai modelli che interpretano e ne hanno assorbito in maniera totale il loro modo di muoversi e di esprimersi. A fianco degli eccellenti Guillaume Marbeck (Godard) e Aubry Dollin (Belmondo) c’è poi l’altrettanto eccellente attrice americana Zoey Deutch che incarna una Jean Seberg altrettanto introversa e generosa dell’originale. Così facendo, Linklater evita di scadere nel macchiettismo che aveva caratterizzato un precedente film sul percorso artistico di Godard (Le Redoutable di Michel Hazanavicius del 2017). Come afferma lui stesso, Nouvelle Vague non è un biopic su Godard, bensì un film su un gruppo di giovani (tutti avevano all’epoca meno di 30 anni) che scopre un nuovo modo di fare cinema: più libero e molto meno costoso della norma, basato sull’improvvisazione come il jazz e proprio per questo totalmente rivoluzionario. Per essere soddisfatto, al regista di Austin, che ha sempre avuto nel mirino il pubblico giovane - come ha dimostrato tra l’altro con il suo innovativo Boyhood del 2014 - basterebbe che un gruppo di ragazzi dopo aver visto il suo film (e magari essersi visto anche Au bout du souffle) riscoprisse la semplicità del cinema e si cimentasse a girare un film proprio come fecero Godard & co nel 1959. Al di là di ciò, Nouvelle Vague è una commedia dal ritmo serrato e dai dialoghi frizzanti, che ha tutte le carte in regola per piacere non solo ai nostalgici e forse anche ai giurati di Cannes.
Due attori maturi
Se Jean-Luc Godard è un mito del cinema su scala mondiale, non altrettanto si può dire di Claude Lelouch e del suo dramma sentimentale Un uomo, una donna che nel 1966 si aggiudicò sia la Palma d’oro sia l’Oscar per il miglior film straniero. Eppure per i francesi Anouk Aimée e Jean-Louis Trintignant sono ricordati proprio per questa interpretazione in coppia e non c’è quindi da stupirsi che un fotogramma di Un uomo, una donna figuri sul manifesto dell’edizione 2025 che il Festival di Cannes ha voluto dedicare, in tempi cupi come quelli che viviamo, al tema dell’amore. L’amore tra un uomo e una donna è al centro anche di Die My Love, il film forte e per certi versi spiazzante che la regista scozzese Lynne Ramsay (già premiata sulla Croisette nel 2017 per A Beautiful Day) ha presentato in concorso. A contare in larga misura in questa love story disperata e violenta, ricca di dettagli psicologici, è il fatto che i due protagonisti siano entrambi attori che hanno raggiunto la notorietà da giovanissimi e che oggi, mentre si avviano verso la quarantina, dimostrino di aver raggiunto una maturità e una versatilità davvero invidiabili. Jennifer Lawrence (che si era fatta conoscere con il ciclo di The Hunger Games) e Robert Pattinson (stessa cosa con Twilight) sono perfetti come Grace e Jackson in Die My Love. Trasferitisi da New York in una sperduta casa coloniale ereditata dallo zio di lui morto suicida, la coppia ha appena avuto un bambino. Grace, che si autodefinisce scrittrice, perde l’ispirazione forse a causa del baby blues e scivola verso la depressione e la psicosi. Jackson si barcamena tra sensi di colpa e scatti di rabbia, mentre Lynne Ramsay (che si è ispirata a un libro di Ariana Harwicz) li osserva con lo sguardo spietato dell’entomologa, riuscendo così a sfuggire alla trappola del déjà vu in una situazione dove la presenza quasi soffocante dell’ambiente naturale (il frinire dei grilli, il ronzio delle mosche) viene bilanciata da una colonna sonora di buon vecchio rock. Un film che si svolge in uno spazio e in tempo indefiniti e perciò ancora più affascinante, dove morte e amore si sfiorano senza mai toccarsi.