Una commedia romantica in salsa... elementare

Sono stati anni difficili per la Pixar, quelli della pandemia: in un contesto storico che ha visto lo streaming in netto vantaggio sull’esperienza in sala, lo studio che un tempo apparteneva a Steve Jobs e dal 2006 fa parte dell’impero Disney è stato vittima di una mentalità aziendale che ha trattato l’animazione come qualcosa di secondario rispetto a tutto il resto. E così, mentre la Marvel e soci avevano diritto, nel peggiore dei casi, alle cosiddette uscite ibride (con un sovrapprezzo sull’abbonamento per chi volesse fruire del film su Disney+ in contemporanea con il debutto in sala), pellicole come Soul, Luca e Red sono finite direttamente sulla piattaforma, abituando le famiglie al marchio Pixar come quello di un generatore di contenuti per il solo consumo domestico. Ne sta ora pagando il prezzo Elemental, ventisettesimo lungometraggio dello studio, nonostante diverse qualità lo rendano l’intrattenimento ideale per chi è in cerca di spettacolo sul grande schermo (non a caso è stato scelto come evento di chiusura di una kermesse prestigiosa come il Festival di Cannes).
Siamo nella megalopoli di Element City, dove vivono personaggi antropomorfi basati sui quattro elementi naturali: terra, aria, acqua e fuoco. Per ovvi motivi, data la loro innata distruttività, gli individui di fuoco stanno abbastanza isolati, spesso evitando di proposito ogni contatto con le altre comunità.
È in quelle circostanze che è cresciuta la giovane Lumen, la cui più grande aspirazione è ereditare il negozio di alimentari fondato e gestito dal padre Bernie. Poi, un giorno, la ragazza fa la conoscenza di Wade, che proviene dalla comunità acquatica e col passare del tempo i due si rendono conto che c’è un’attrazione nell’aria. Ma come reagire a questa notizia quando è risaputo che acqua e fuoco sono incompatibili? E, cosa ancora più grave, cosa ne penserà Bernie che, a forza di discriminazioni, non si fida di nessuno che non sia fatto di fiamme?
Laddove Lightyear, lo scorso anno, si avvicinava al fotorealismo per ricreare l’estetica di un classico blockbuster estivo con attori in carne e ossa (con la spiegazione diegetica che quello che stavamo vedendo era il film che ha ispirato il giocattolo visto nei vari Toy Story), Elemental torna nei territori più classici della Pixar, proponendo scenari simili a quelli di Monsters & Co. e Inside Out. Un approccio semplice ma non banale (anche se alcune trovate potrebbero rasentare l’autoparodia), che si iscrive nella tradizione dello studio e al contempo nella nuova direzione adottata dopo l’addio dell’ex-supervisore artistico John Lasseter (ironia della sorte, molti progetti da lui approvati prima del congedo, tra cui questo, parlano di come le nuove generazioni cerchino di uscire dall’ombra di figure genitoriali abbastanza ingombranti).
Questa volta la strada scelta dal regista Peter Sohn è quella della commedia romantica, un Romeo e Giulietta in salsa elementare e senza la componente tragica, dove il personale – la società multiculturale si basa su quella dove è cresciuto lo stesso Sohn, newyorkese di origine coreana – diventa universale e l’evoluzione tecnologica consente all’acqua e al fuoco, tradizionalmente ingredienti impegnativi per un film animato al computer, di nutrire in egual misura la comicità, il pathos e lo spettacolo. Segnaliamo anche che per la prima volta dal 2018, dai tempi de Gli Incredibili 2, il film Pixar di turno è accompagnato in sala da un cortometraggio: Carl’s Date, breve racconto sulla terza età dove ritroviamo lo scorbutico protagonista di Up, accompagnato dal fido amico a quattro zampe Dug. Altro esempio di come la Pixar voglia tornare alle vecchie tradizioni, pur guardando avanti, dopo alcuni anni turbolenti dietro le quinte.