«Wish», un magico desiderio d'animazione targato Disney

Nel 1940 uscì nelle sale, senza particolare successo perché il secondo conflitto mondiale aveva avuto un certo impatto sui mercati internazionali, il secondo di quelli che chiamiamo i Classici Disney, i lungometraggi d’animazione prodotti dall’apposita divisione dell’azienda fondata da Walt Disney: Pinocchio. Film che si apriva con una canzone sul potere dei desideri, When You Wish Upon a Star, rapidamente entrata nell’immaginario collettivo: negli anni Cinquanta divenne la sigla di varie trasmissioni televisive Disney (spesso con il Grillo Parlante come conduttore) e dagli anni Ottanta è il motivetto che introduce il logo dell’azienda all’inizio di ogni lungometraggio, anche quelli non d’animazione. Naturalmente ha anche fatto parte della colonna sonora di Once Upon a Studio, il bellissimo cortometraggio che festeggia il centenario della Disney e che inizialmente doveva accompagnare in sala il sessantaduesimo Classico, Wish (salvo poi arrivare direttamente su Disney+ per coincidere con la data esatta dell’anniversario, il 16 ottobre).
Con il nuovo lungometraggio torniamo dalle parti della fiaba classica, ambientata su un’isola in una parte non specificata del Mediterraneo. Qui esiste il regno di Rosas, il cui sovrano è il mago Magnifico. Al compimento dei diciotto anni, ogni abitante gli affida il proprio desiderio più ardente, e lui lo custodisce in forma fisica in un’apposita saletta del suo palazzo. Una volta al mese, tramite cerimonia rituale, Magnifico esaudisce uno di questi desideri, a sua insindacabile discrezione. Tra quelli che aspettano – letteralmente – da una vita c’è Sabino, che proprio nel giorno della nuova cerimonia compie cent’anni. Sua nipote, la giovane Asha, è in lizza per diventare l’apprendista di Magnifico, e spera così di poter mettere una buona parola per il nonno. Ma il re, come scopre con sommo orrore la ragazza, non è così gentile come ha dato a credere e la sua autorità comincia a vacillare quando dal cielo cade una stella senziente che, in teoria, potrebbe accontentare tutti. A cominciare da Valentino, la capra di Asha, che acquista il dono della parola (dettaglio carino per gli appassionati: nella versione originale, sia i dialoghi che i versi dell’animale sono opera di Alan Tudyk, voce fissa nei film dei Walt Disney Animation Studios da Ralph Spaccatutto in poi).
Da qualche anno, per l’esattezza a partire da Oceania (2016), ci si era lamentati di un certo «buonismo» nel canone disneyano, con film dove non c’era un vero antagonista e tutto era legato al viaggio interiore dei protagonisti. Wish, da quel punto di vista, è un ritorno alle origini, con tanto di ripristino della meravigliosa tradizione degli anni Novanta e Duemila che era la canzone del cattivo. Aspetto poco sorprendente poiché il film, in vista dell’anno d’uscita, è stato appositamente pensato come omaggio a un secolo di magia Disney, dal libro di fiabe che apre la storia ai titoli di coda che contengono illustrazioni legate ai film precedenti, passando per gag più sottili come gli amici del cuore di Asha che sono una versione aggiornata dei sette nani o gli animali della foresta che vantano tra le loro fila un orso di nome John (alias Little John, la spalla di Robin Hood che aveva quelle sembianze nella versione del 1973). L’elemento celebrativo è evidente anche sul piano estetico, con uno stile che mescola le tradizionali tecniche a mano con le nuove evoluzioni digitali, rendendo questa fiaba un racconto del suo tempo e fuori da ogni contesto cronologico nello stesso momento (non a caso i due registi, Chris Buck e Fawn Veerasunthorn, sono rispettivamente un veterano degli anni Novanta e una delle nuove leve dello studio).
Nulla di particolarmente innovativo, diranno alcuni. Ed è vero, ma non era quello lo scopo del film, la cui funzione primaria è appunto festeggiare. E per farlo si avvale di tutti gli ingredienti che siamo soliti associare al marchio disneyano, a partire da quella stella che è stata importante per molti personaggi nel corso dei decenni e ora diventa co-protagonista a pari merito con le figure umane. Un’operazione semplice, indubbiamente, ma mai banale, che abbraccia il nuovo ma non perde mai di vista ciò che da un secolo fa della Disney uno dei nomi di punta nell’intrattenimento e nell’immaginario di molteplici generazioni: la voglia di stupire, divertire e incantare, con una formula che sarà anche riconoscibile ma non per questo ha perso la propria efficacia.