Il personaggio

Colum McCann: «Scrivo libri che facciano pensare»

A colloquio con il romanzere irlandese-americano vincitore, con «Tredici modi di guardare» (ed. Rizzoli) del «Premio Mondello»
Mariella Delfanti
05.08.2019 06:00

Qualche anno fa lo scrittore americano di origine irlandese Colum McCann fu vittima di un grave incidente. Fu preso a pugni e ferito fino a perdere i sensi mentre cercava di difendere una donna a sua volta picchiata e sbattuta a terra dal marito, nei pressi dell’albergo in cui alloggiava. Non dovrebbe sorprendere quindi che in uno dei racconti de Tredici modi di guardare (ed. Rizzoli) l’ultimo suo libro – insignito quest’estate del Premio Mondello Internazionale – sia proprio un pugno a uccidere il protagonista. Quello che sorprende invece è che, come ci ha raccontato l’autore, il racconto sia stato scritto prima che un analogo fatto avvenisse nella realtà. Ma è questo il potere della letteratura, bellezza! Quello di restituirci la realtà, magari anticipandola. E ci sono altri casi di questa «preveggenza» letteraria, come sanno bene i lettori di Stephen King, quando fu travolto da un’auto che quasi lo uccise. McCann è stato per molti mesi in cura per i traumi fisici e psichici, incapace anche di scrivere per un certo tempo, ma è riuscito alla fine a far convergere in questa opera quella dolente osservazione della realtà che è la cifra dei suoi libri ed è il tessuto connettivo di storie umane sempre raccontate con empatia, sottigliezza e profondità. Uno scrittore che sa parlarci del nostro tempo, della violenza e delle ingiustizie che lo attraversano, ma anche dei piccoli sprazzi di luce che si accendono se siamo in grado di riconoscerli. Grandi temi affrontati quasi in sordina, attraverso piccole storie quotidiane e l’impatto che hanno sulle nostre vite. Lo abbiamo incontrato.

Colum McCann: si può dire che il collante delle sue storie è il giudizio etico che riguarda il nostro mondo profondamente ingiusto?
«Sì il mondo si presenta a noi come un profondo serbatoio di ingiustizia e uno scrittore a mio avviso ha il dovere non di offrire soluzioni, ma di parlare di esso e fare luce su ciò. Nei miei libri c’è sempre il lato oscuro della vita, per forza: c’è e ci deve essere. Ho appena finito un nuovo romanzo ambientato tra Israele e la Palestina. Ci sono stato sei volte negli ultimi quattro anni e può immaginare come sia difficile lì capire in profondità che cosa sia il giusto e l’ingiusto. Ho cercato di trovare un via per negoziare tra questi due opposti e credo che il modo migliore di farlo, per uno scrittore, è di raccontarlo attraverso delle storie umane. Non sono così sicuro di avere molto da dire, ma di avere molto da mostrare. Sarà poi il lettore a trovare la sua interpretazione: non mi piace un libro che mi dica come pensare ma che mi faccia pensare».

Il nuovo libro di Colum McCann si è aggiudicato il «Premio Mondello Internazionale». In precedenza, il 56autore originario di Dublino ma naturalizzato statunitense con «Questo bacio vada al mondo intero» aveva vinto nel 2009 il National Book Award.
Il nuovo libro di Colum McCann si è aggiudicato il «Premio Mondello Internazionale». In precedenza, il 56autore originario di Dublino ma naturalizzato statunitense con «Questo bacio vada al mondo intero» aveva vinto nel 2009 il National Book Award.

Lei ci presenta un mondo complicato con dei personaggi che a volte racchiudono dei segreti, nei confronti dei quali però non esprime giudizi: perché?
«Spero di essere profondamente empatico rispetto a un mondo così complicato e per qualche motivo io capisco le persone su quel livello di profonda empatia. Quando avevo ventun anni ed ero giornalista, stavo cercando di scrivere un romanzo – avevo come modello mio padre che era giornalista letterario – e me ne andai in America per scriverlo. Ma arrivato a un certo punto capii che non lo sapevo ancora fare, così decisi di fare un viaggio di due anni attraverso gli Stati Uniti in bicicletta. Percorsi circa 12 mila chilometri tra Messico e Stati Uniti e imparai ad ascoltare la gente. Quella fu una grande lezione per me, una lezione in empatia ed ascolto e se c’è qualcosa che depone a mio favore è che io so ascoltare piuttosto bene la gente».

Il mondo che lei presenta in questo libro non è né facile né felice. La speranza allora dov'è?
«Nel mio precedente libro Questo bacio vada al mondo intero ovunque c’è il lato oscuro, ma alla fine c’è una forma di grazia, di sopravvivenza, ad esempio quando la nipote della prostituta esce dal circolo vizioso della droga e della prostituzione, un vortice da cui è difficilissimo sottrarsi. Eppure ce la fa e c’è in questo una speranza. Io sono interessato a questi piccoli atti di redenzione in un mondo così oscuro, al fatto che momenti di grazia possano avverarsi. Forse mi definirei un “pessi-otti-mista”».

Sono interessato ai piccoli atti di redenzione in un mondo così oscuro, al fatto che momenti di grazia possano avverarsi. Forse mi definirei un “pessi-otti-mista”.
Sono interessato ai piccoli atti di redenzione in un mondo così oscuro, al fatto che momenti di grazia possano avverarsi. Forse mi definirei un “pessi-otti-mista”.

In merito alla possibilità di far giustizia in questo mondo mi sembra che lei sia invece piuttosto pessimista. Chi rende giustizia alla suora che scopre il suo torturatore? È possibile far trionfare la giustizia in questo mondo? E soprattutto la giustizia privata basta?
«Queste sono le grandi domande! Ed è la questione del nostro tempo. No, la giustizia solo privata non basta mai, ma almeno se riusciamo ad ottenerla, possiamo portarla avanti nel mondo in qualche modo. Se non ci fosse neppure questo sarebbe pura disperazione. E la suora ottiene a suo modo una giustizia privata, perché alla fine si confronta con il suo torturatore, lo umilia con la verità. Certo è una giustizia privata, non quella delle istituzioni: non basta, ma è importante che l'abbia rivendicata».

Questi tredici modi di vedere il mondo hanno in qualche modo dei riferimenti con la cronaca. In che modo il suo essere giornalista l’ha influenzato?
«Potrà sembrare sentimentale citare l’American Dream ma l’America di cinquanta, certamente di cento anni fa, era un posto molto più grande, come scrisse Walt Whitman in una poesia: “Sono grande, posso contenere le moltitudini”. Quello che siamo diventati oggi non ci apre più a contenere una moltitudine. Se rinunciamo ad essere caleidoscopici nello spirito, nell'arte, nell'anima, ci chiudiamo in casa, abbassiamo le tende, e quello che pensiamo di noi stessi diventa il centro del nostro universo. Ma noi non siamo così stupidi come i nostri politici vogliono farci credere e siamo molto più intelligenti di ogni singola ideologia. Per questo dobbiamo continuiamo a raccontare storie, diverse, caleidoscopiche, molteplici».