Società

«Con la nostra arte vogliamo offrire un punto di vista differente»

Quattro chiacchiere con Christian Rebecchi che, assieme a Pablo Togni, forma i Nevercrew, coppia ticinese di artisti urbani conosciuta in tutto il mondo
Christian Rebecchi e Pablo Togni formano i Nevercrew. © Simone Cavadini (2015)
Mattia Darni
30.07.2023 17:30

Chi recentemente si è trovato a passeggiare in via Geretta a Paradiso l'avrà sicuramente notata: stiamo parlando della grande opera murale apparsa sulla facciata dell'edificio a fianco del Münger. Intitolato «Wire», il dipinto raffigura un orso rinchiuso in una teca capovolta sulla quale si riflettono i palazzi antistanti.

© CdT / Chiara Zocchetti
© CdT / Chiara Zocchetti

A realizzare il lavoro è stato il duo composto da Christian Rebecchi e Pablo Togni, in arte Nevercrew. Nato in Ticino, il sodalizio artistico ha ben presto ottenuto successo anche a livello globale tanto che le sue opere abbelliscono i quartieri di numerose città importanti quali, solo per citarne alcune, Manchester, Nuova Delhi, Phoenix, Amburgo e Torino. Per conoscere meglio il loro lavoro abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Christian Rebecchi.

Signor Rebecchi, partiamo proprio dall'opera che avete recentemente realizzato a Paradiso: come è nata e qual è il suo significato?
«A spingere alla sua realizzazione è stato lo studio di architettura Freefox che ha sede nel palazzo di fronte a quello che ha accolto il nostro lavoro. Per quanto attiene al messaggio, il concetto di fondo è legato al rapporto tra uomo e natura. Nel caso specifico abbiamo messo l'accento sull'idea di possesso che ha l'uomo degli spazi naturali che lo circondano dei quali si sente il proprietario. Abbiamo perciò deciso di creare un contrasto tra un contenitore artificiale di origine umana e il paesaggio reale che appare riflesso nella parte inferiore della teca il quale raffigura il luogo in cui è stata realizzata l'opera di arte urbana. Il fatto che il contenitore sia capovolto suggerisce che ci troviamo di fronte a qualcosa di innaturale».

I Nevercrew all'opera a Manchester. © Manchester (UK), Cities of Hope, 2016. Photo by Henrik Haven / henrikhaven.com
I Nevercrew all'opera a Manchester. © Manchester (UK), Cities of Hope, 2016. Photo by Henrik Haven / henrikhaven.com

Molte delle vostre opere invitano ad una riflessione sul rapporto tra uomo e natura. Qual è il messaggio che volete far passare e perché ne provate la necessità?
«Non è che abbiamo un unico messaggio che vogliamo trasmettere, tuttavia cerchiamo di spingere alla riflessione sulla prospettiva adottata dall'uomo nei confronti della natura e sul ruolo che l'essere umano ha all'interno dell'ambiente. Ci piace offrire un punto di vista differente rispetto a questioni che, per via della nostra cultura, siamo abituati a vedere in un certo modo. Attraverso la nostra arte non vogliamo comunque invitare solo alla riflessione, ma intendiamo suscitare anche delle emozioni».

Le pongo allora una domanda provocatoria: veramente la gente che si sposta in città e si trova davanti una vostra opera si ferma a riflettere sul messaggio che essa intende trasmettere?
«È una bella domanda a cui è difficile rispondere in quanto non possiamo avere un feedback da tutti coloro che passano davanti alle nostre creazioni. Devo però dire che spesso le persone ci contattano dicendoci come hanno interpretato i nostri lavori e chiedendoci ulteriori chiarimenti. Sovente la lettura che ci offrono è conforme all'ideale col quale abbiamo realizzato il dipinto».

Soggetti di diverse vostre opere sono balene, capodogli e orsi. A cosa si deve il focus su questi animali?
«Partiamo dalle balene, che ci portiamo dietro da tanti anni per un duplice motivo: innanzitutto ci piacciono da usare come presenza da un punto di vista grafico perché, quando le dipingiamo su un muro, esse si avvicinano alla loro grandezza naturale. Da un punto di vista concettuale, invece, amiamo le balene perché da secoli la loro storia è legata a quella del genere umano, e penso in particolare alla caccia operata dall'uomo a questi cetacei. Tale elemento si coniuga bene con il nostro discorso sulla relazione tra uomo e natura. Le balene, infine, ci permettono di rendere il nostro discorso universale perché la specie è diffusa in tutto il mondo. Discorso analogo si può fare per l'orso che, anche se in misura minore rispetto alle balene, è diffuso in buona parte del globo consentendoci quindi di veicolare un messaggio che può essere compreso da popoli differenti. Il plantigrado permette poi di sollevare la questione della sua presunta invasione degli spazi dell'uomo e viceversa. L'orso polare, infine, rimanda alla questione climatica e all'innalzamento delle temperature».

Quanto impiegate per realizzare un'opera?
«Per quel che concerne la realizzazione, in media impieghiamo cinque o sei giorni. Prima però c'è tutta la parte di progettazione che può variare davvero tanto a seconda della situazione di partenza e può tenerci impiegati dai tre giorni alle tre settimane».

Oltre a spingere alla riflessione, la nostra arte vuole suscitare delle emozioni

Parliamo ora del progetto Nevercrew: come e quando vi siete conosciuti lei e il Signor Togni e come è nata la vostra collaborazione artistica?
«Ci siamo conosciuti al secondo anno della CSIA a Lugano. Da subito abbiamo iniziato a collaborare per progetti privati quali la realizzazione di fumetti, di copertine dei mixtape hip hop e di video. Visto che in quel periodo era in voga l'hip hop e noi eravamo affascinati da quel mondo, abbiamo deciso di provare a dipingere sui muri e a fare dei graffiti. La cosa ci è subito piaciuta anche perché all'epoca internet non era ancora così diffuso e non c'erano i social network: l'arte urbana era quindi un modo per potersi esprimere pubblicamente».

Quando avete capito che la vostra passione sarebbe potuta diventare anche una professione?
«Va innanzitutto detto che già da adolescenti la nostra passione era diventata in parte un lavoro. Poi, una volta terminata l'Accademia di Brera, abbiamo deciso di lanciarci completamente nell'avventura dell'arte urbana».

Dal piccolo Ticino siete riusciti a farvi conoscere in tutto il mondo: qual è la ricetta del vostro successo?
«Faccio fatica a dare una risposta perché con buona probabilità non siamo consapevoli di determinate dinamiche. Sicuramente ci ha aiutato avere una certa presenza sul territorio fin da quando avevamo quindici anni. Credo poi che l'impegno e l'onestà che mettiamo sempre nel nostro lavoro abbiano pagato. Lavorando per strada, inoltre, abbiamo sempre cercato di essere rispettosi nei confronti degli altri. Difficile dire quali altri elementi siano entrati in conto. Indubbio è che l'avvento dei social ci abbia permesso di guadagnare maggiore visibilità in campo internazionale».

Che progetti avete in cantiere?
«Presto andremo a realizzare un lavoro a Mons, in Belgio. Sarà un'opera particolare in quanto si tratta di una scalinata. Stiamo inoltre lavorando ad un'esposizione personale che inaugureremo a fine ottobre a Zurigo».

In questo articolo:
Correlati