«Credo nel potere di seduzione del cinemae in una narrazione evocativa e non descrittiva»

Cronofobia finora è stato premiato al Festival di Tallinn, in Estonia, al Max Ophüls Preis, in Germania, ed è appena stato invitato al Festival di Hong Kong: un film dal sapore nordico e orientale più che «mediterraneo»?
«È vero che, volendo raccontare una sospensione dell’identità in luoghi di passaggio con personaggi che non esprimono sentimenti in maniera manifestamente emotiva, il film si addice a un tipo di sensibilità nordica. Detto questo, penso che sia un film che possa essere visto da tutti e nell’immediato futuro ci abbiamo degli inviti anche da parte di rassegne importanti che si svolgono in regioni più meridionali. Partecipare a questi festival è sempre un’esperienza molto interessante per vedere come viene recepito il film da persone che hanno un background culturale molto diverso dal nostro».
Come ha lavorato con i due attori protagonisti?
«Prima di iniziare le riprese ci siamo incontrati una volta sola tutti e tre insieme per “testare la chimica” tra i due. Poi, di comune accordo con loro, ho deciso di lavorare separatamente con Vinicio e con Sabine. Questo perché i due personaggi non si conoscono mai veramente e pensavo fosse una buona idea quella di mantenere questa tensione anche tra i due attori. È un aspetto che secondo me ha funzionato, anche perché ho avuto la fortuna di lavorare con due persone di grande talento e di grande esperienza ma anche molto disponibili e capaci di rendere semplici situazioni che io vedevo come molto complicati».
Un altro aspetto molto importante del suo film è la fotografia: come ha lavorato con Simon Guy Fässler?
«Conoscevo già il suo lavoro e poi l’ho incontrato sul set del film Il mangiatore di pietre di Nicola Bellucci, dove ho lavorato come coach per gli attori non professionisti, e quindi ho visto come lavorava, gli ho fatto leggere la sceneggiatura e siamo andati subito d’accordo sul tipo d’immagine che fosse ideale per il mio film. Credo molto nel potere di seduzione del cinema, nel movimento di macchina fatto nel momento giusto e con la giusta efficacia espressiva. Credo in un tipo di cinema più evocativo che descrittivo».
Può spiegare allo spettatore reticente il significa del termine «cronofobia»?
«Per gli psicologi è la paura dello scorrere del tempo. È uno stato d’ansia causato dall’incapacità di assaporare fino in fondo gli eventi importanti della vita che si ha l’impressione ci scorrano davanti senza poterli cogliere pienamente. È un senso di impotenza che colpisce soprattutto chi deve stare per molto tempo immobile e/o recluso, come i malati o i detenuti. Quindi il film è disseminato di gabbie, visivamente abbiamo giocato molto con l’idea di prigione. I due protagonisti sono prigionieri che, per fuggire da loro stessi o da una realtà che non sono in grado di sopportare, si rifugiano in questa sorta di isolamento. Per me Cronofobia è un titolo misterioso e intrigante, come spero sia il film».