L’intervista

Cristina Castrillo: «Gli attori sono il tesoro del Teatro delle Radici»

La compagnia luganese compie 40 anni e debutta con un nuovo spettacolo: «Re-cordari»
«Re-cordari» è in scena dal 4 al 10 novembre allo Studio Foce di Lugano. © MARTINA TRITTEN
Antonio Mariotti
03.11.2020 11:51

«Abbiamo rischiato di festeggiare i nostri quarant’anni di attività in quarantena!» così - non senza ironia - Cristina Castrillo, fondatrice e anima del luganese Teatro delle Radici, commenta le iniziative che si terranno dal 4 al 15 novembre allo Studio Foce, al Teatro Foce e nella storica sala della compagnia, in viale Cassarate 4 (vedi programma sotto). Piatto forte del menu, il nuovo spettacolo Re-cordari: è da qui che è partita la nostra conversazione.

Re-cordari punta sulla rivisitazione del passato per conoscere il presente e immaginare il futuro: quasi un metodo da archeologo, ma con il cuore?

«Mi è piaciuta molto questa parola quando ho scoperto il suo significato in latino: “passare ancora dal cuore”. Ma a piacermi ancora di più è il legame con la memoria, visto che festeggiamo quarant’anni di lavoro in comune. L’operazione è però molto più semplice di quel che sembra: il “passare ancora dal cuore” è ciò che ciascuno dei nostri attori ha fatto. Lo spettacolo è infatti composto da pezzi singoli ideati da ciascuno degli interpreti. L’idea è nata molto prima di sapere ciò che ci sarebbe caduto addosso e che stiamo ancora vivendo. Ed è grazie a questa intuizione che possiamo presentare lo spettacolo ora. Su questa base, ho continuato a lavorare durante il confinamento, dando indicazioni via mail e e pensando a una forma per il tutto mentre ciascuno lavorava a casa propria. Ho snaturato il meno possibile i lavori individuali, perché tutti mi hanno sorpreso ed emozionato. Ogni attore aveva la libertà di personalizzare questo “passare ancora dal cuore”, usando vecchi costumi, il nostro archivio, oggetti provenienti dal nostro deposito o testi di altri spettacoli. Il mio lavoro è quindi consistito soprattutto nello smussare quei momenti prettamente personali, che per me significavano qualcosa ma che lo spettatore non avrebbe compreso».

Come si presenta quindi la struttura dello spettacolo?

«Ho cercato prima di tutto di far apparire le presenze individuali, le ho combinate in modo da creare una drammaturgia e ho aggiunto tre momenti d’insieme – l’ouverture, il finale e un momento centrale – rispettando però al massimo le proposte dei miei attori».

Ha avuto delle sorprese?

«Sì, molte cose mi hanno profondamente emozionata perché non avrei mai pensato che avrebbero plasmato così i loro pezzi. Quel che più mi ha interessata è il fatto che metodologicamente tutti sono formati nella stessa maniera ma il processo metodologico porta a una assoluta individualità nell’atto creativo che non è la pura ripetizione di un metodo».

Non ha quindi creato dei cloni?

«No, per fortuna, e ciò è molto evidente nei dieci contributi individuali nei quali riconosco la nostra maniera di lavorare ma in cui ognuno mostra un tocco profondamente individuale. Anche se molte di queste persone sono legate da sempre alla compagnia. C’è chi ha sviluppato un proprio percorso artistico, alcuni altri invece sono sempre pronti a rispondere ai miei appelli per partecipare a un nuovo spettacolo ma non fanno nulla al di fuori di qui».

Il «tesoro» del Teatro delle Radici sono quindi i suoi attori?

«Sì, sono davvero il nostro tesoro. Sono sempre stata molto esigente nel lavoro, per fare il meglio che si possa fare, però c’è sempre anche una dimensione umana molto forte, nel modo di prendere posizione, nello scegliere certe cose. È vero che sono io a prendere le decisioni, che sono “il capo” ma se non avessimo quel legame che va ben oltre l’aspetto professionale non avrebbero mai fatto le proposte che si ritrovano in Re-cordari. È un legame che ci unisce a ciò che ciascuno ha fatto qui dentro, ai problemi che abbiamo affrontato, ai momenti in cui mi hanno vista, disperata, cercare di risolvere questioni irrisolvibili. Il mio “re-cordari” sono gli attori: da quando li ho visti per la prima volta, alcuni giovanissimi che non sapevano neppure come muoversi, fino ad oggi».

Un continuo alternarsi tra fragilità e tenacia?

«Vedendo la situazione attuale, senza questa tenacia non riusciremmo a fare nulla. Abbiamo sempre cercato un equilibrio tra la nostra impressionante fragilità e un coraggio, una tenacia da castoro. Tutto si regge su questo equilibrio. Non bastava certo il fatto che io venissi dall’Argentina o avessi un background particolare. Tutto si è retto sulla presenza di ciascuno di loro, ciascuno con la propria storia e i propri problemi quotidiani. Per reggere un simile percorso devi avere molto di più che l’amore per ciò che fai, devi riuscire a comunicare agli altri questa tenacia. E ti posso assicurare che se io dovessi cedere un attimo ci sarà sempre qualcuno che dirà “Ah no!”. È questo il meccanismo che ci permette di andare avanti, soprattutto in un momento come quello che viviamo ora».

È il momento più difficile che ha vissuto il teatro negli ultimi decenni?

«Certo, ci pensavo proprio l’altro giorno: come sarebbe stato festeggiare i nostri quarant’anni in quarantena? Senza contare che debuttiamo con il nuovo spettacolo nella settimana dei morti! Ci sarebbe quasi da ridere! Stiamo lavorando con sulla testa la spada di Damocle della chiusura dei teatri, ma noi saremo comunque qui, con o senza soldi. Non abbiamo mai perseguito l’obiettivo del successo, anche se ci avrebbe dato un conforto economico. Al centro del nostro lavoro c’è sempre stata la maniera di intendere la cultura teatrale, una maniera di porsi all’interno di una politica culturale che è moribonda se non è già morta. È il valore di un punto di vista culturale, politico, sociale che mi interessa emerga ancora oggi dal nostro lavoro».

Lei ha anche allestito spettacoli da sola, un altro modo di lavorare?

«Tutto quel che ho insegnato viene da un lavoro metodologico su me stessa e quindi sono in grado di autodirigermi. Avrei potuto scegliere l’individualità, pronendo spettacoli da sola, cosa che del resto ho fatto e che ha funzionato per molti anni, ma ho sempre pensato al teatro come a un valore comunicativo a se stante, che ha a che fare con le perone vive, non solo con degli attori. Magari i miei non saranno attori straordinari ma io so che sono persone straordinarie. E ciò mi riporta alle origini del teatro: lo stare insieme a cantare una canzone attorno a un fuoco come una tribù. È un’idea che mi piace perché il teatro è un rito a livello tribale. I miei attori non sono i miei amici, io sono la loro regista, ma sanno che possono contare su di me, li difenderò fino alla morte. Sono le persone con le quali vorrei invecchiare, con le quali sto invecchiando».

IL PROGRAMMA

4, 5, 7, 8, 10 novembre

Studio Foce, ore 20.30 (tranne domenica 8 alle 18):
«Re-cordari» . Drammaturgia e regia: Cristina Castrillo. Con Giovanna Banfi-Sabbadini, Andrea Fardella, Bruna Gusberti, Ornella Maspoli, Monica Muraca, Massimo Palo, Fulvia Romeo, Nunzia Tirelli, Carlo Verre, Chiara Vighetto, Irene Zucchinelli.

13 novembre

Teatro Foce, ore 20.30: «Petali». Drammaturgia e regia: Cristina Castrillo. Con Bruna Gusberti, Ornella Maspoli, Camilla Parini.

14 novembre

Teatro Foce, ore 20.30: «Transumanze». Testo e regia: Cristina Castrillo. Con Bruna Gusberti, , Massimo Palo, Nunzia Tirelli, Carlo Verre, Irene Zucchinelli.

15 novembre

Sala Teatro delle Radici, ore 18:

«Graffio su bianco». Testo e regia: Cristina Castrillo. Con Giovanna Banfi-Sabbadini, Ornella Maspoli, Massimo Palo, Carlo Verre.

Prevendita e prenotazioni

Studio e Teatro Foce: biglietteria.ch;
Sala Teatro delle Radici: [email protected].