Da "The European" a "Il Mitte"

La mente di un giornalista e il web si somigliano: con una manciata di clic puoi trovarti all'altro capo del mondo, un contatto crea subito il successivo, così come l'intuizione di un reporter può scardinare in un attimo la porta che si credeva chiusa o inesistente, e davvero i famosi «sei gradi di separazione» che un giornalista deve coprire per raggiungere il suo prossimo intervistato, che sia il presidente ucraino o l'anonima vittima di un terremoto ad Haiti, non sono mai stati così facili da percorrere (che poi si ottenga l'intervista, è tutt'altra faccenda; che poi ancora l'intervista abbia un peso di verità e incida sui fatti, è un atto di fede - vedi Suggeriti).
Tale forma mentis – oggi al suo miglior parossismo – dà il meglio di sé quando lavora, più che nello spazio, all'indietro nel tempo: la memoria di un giornalista, specie se si occupa di politica, è composta da migliaia di ritagli di articoli. Un vero garage d'informazioni dove le scoperte casuali – bisogna confessare pure questo – hanno non di rado altrettanto valore quanto le ricerche accuratamente pianificate.
Tutta questa premessa è per dirvi che proprio non so – ma poco m'importa di sapere – da quali vagabonde associazioni di idee sia sorta la domanda che il collega A. mi ha rivolto all'improvviso un pomeriggio di maggio, distogliendo lo sguardo dallo scorrere delle agenzie: «Ma tu, ti ricordi di The European?».
Non me ne ricordavo. «Era un settimanale lanciato venti, venticinque anni fa... conoscevo una che ci lavorava da fuori, una freelance, poi finita al Financial Times... chissà dove vive ora...». Subito dopo questo flash dal passato, A. stava già lavorando su un'altra notizia. E io su quella che mi aveva appena girato.
Incredibile, oggi: una pubblicazione pan-europea
A quel tempo, giugno 1988, l'idea era di quelle di spessore, anzi di più: una vera scommessa editoriale e politica, giornalistica e culturale. Solo uno col fegato di «Captain Bob» poteva metterla in cantiere.
In pratica, il presidente del colosso Maxwell Communication e del Mirror Group si era messo in testa di lanciare un settimanale pan-europeo in lingua inglese. Roba che oggi farebbe impallidire l'ufficio stampa di Bruxelles-Strasburgo. Non bastasse, pure la Storia, come spesso era accaduto nella sua biografia, si stava incaricando di dare una mano a Robert Maxwell.
Di lì a poco – 9 novembre 1989 – sarebbe caduto il Muro di Berlino: l'idea del The European non poteva realizzarsi in un periodo migliore. Le redazioni si misero in moto senza incertezze.
Il primo numero uscì l'11 maggio 1990. Quella stessa settimana Time rivelò che nei piani iniziali del magnate v'era una tiratura di ben 650 mila copie, poi ridotta, per realismo, a 225 mila. La verità stava ancora più sotto: ne erano state stampate «soltanto» 180 mila, di cui la metà diffuse in Gran Bretagna (attualmente, con il premier Cameron, e non solo lui, in posizione isolazionista rispetto all'Ue, qualunque editore non solo ridurrebbe di almeno la metà questa tiratura, ma valuterebbe forse la soppressione della testata). Ad ogni modo, l'avventura del The European iniziò tra molteplici entusiasmi. Vogliamo dirla tutta? L'Europa era più Europa allora che oggi, la si toccava, immaginava, sognava ogni giorno. Ma per capire un settimanale di tal fatta, è prima necessario prendersi un «intervallo Maxwell».
«Captain Bob»
Nato nel 1923 – vero nome Ján Ludvík Hyman Binyamin Hoch - in una povera famiglia yiddish a Slatinské Doly (oggi Ucraina), il futuro Robert Maxwell riuscì a fuggire in Francia mentre gran parte dei suoi parenti moriva a Auschwitz. A Marsiglia si unì all'esercito cecoslovacco in esilio, litigò coi superiori, passò tra i militari inglesi, che lo spedirono per l'Europa in diverse azioni molto pericolose: aveva fegato da vendere, il ragazzo, e s'intende proprio - è documentato - coraggio fisico davanti alle mitragliatrici tedesche. (vedi Gallery)
Nel 1945 fu promosso capitano (da qui il soprannome «Captain Bob») e ricevette la Croce militare dalle mani del generale Montgomery. Finita la guerra, usò i suoi contatti per diventare distributore di Springer Verlag per Inghilterra e Stati Uniti. Fu l'unico ad aggirare, col permesso degli Alleati, l'embargo sulle pubblicazioni tedesche. Rilevò quindi una piccola casa editrice, che poi trasformò la celebre Pergamon Press, che nel 1964 arrivò a possedere 70 riviste, a pubblicare 600 libri l'anno e a pesare, una volta quotata in Borsa, quattro milioni sterline. Maxwell fece anche politica: eletto in Parlamento tra le fila dei laburisti, si tenne il seggio per sei anni, fino al 1970. Mise gli occhi sul News of the World, ma era testata troppo british per un immigrato: gliela sfilò Rupert Murdoch. Perse la Pergamon, se la riprese; nel 1981 la tanto desiderata British Printing Corporation fu finalmente sua; tre anni dopo si comprò anche il Mirror Group Newspapers. Quando morì, il suo impero contava oltre 400 società che spaziavano dalla tv via cavo all'informatica (hardware e software), dalla sicurezza industriale alla squadra di calcio dell'Oxford United, fino alle famose scuole di lingue Berlitz.
Un ebreo, un cosmopolita, uno «squalo» molto coriaceo
Captain Bob era un eccessivo in tutto, un personaggio extra-large che meriterebbe semplicemente la penna di John Le Carré. Imponente, sadico, famelico, impaziente, vitale, coraggioso fino all'avventatezza, come chi ha rischiato parecchie volte di morire. Con lui non si sapeva mai cosa sarebbe accaduto il giorno dopo. Parlava nove lingue, ebbe sette figli, un numero imprecisato di amanti: le pescava dalle segretarie, obbligandole talvolta, si racconta, a certi «giochi» acrobatici in ufficio.
Era di casa, pur da laburista, a Downing Street all'epoca della Thatcher; frequentò Breznev, Gorbaciov, Reagan, fu loro consigliere; faceva affari con i dittatori dell'Europa dell'est, conosceva i vertici del KGB. Lavorò con Israele nei periodi scottanti, e forse per questo alcune biografie lo considerano una delle spie di punta nella storia del Mossad. Morì nella notte del 4 novembre 1991 al largo delle isole Canarie, cadendo in mare dal suo yacht, il Lady Ghislaine. The European non aveva nemmeno due anni di vita.
Diverse le ipotesi sulla morte: 1) aveva ricattato per una cifra enorme il Mossad, per ripianare i propri debiti. Alcune spie salirono a bordo, gli iniettarono nel collo, appena dietro l'orecchio, una dose di agente nervino sufficiente a immobilizzarlo, e lo gettarono in mare, 2) da gran bevitore qual era, aveva esagerato col whisky, e per disgrazia era caduto in acqua, 3) aveva avuto un attacco cardiaco, era scivolato e poi precipitato in mare, 4) sempre più «chiuso in sé stesso», come riferisce la moglie Elizabeth (46 anni trascorsi accanto al marito, ripercorsi nelle memorie Anche il sole è amaro, uscite in italiano per Piemme nel 1996) aveva deciso di suicidarsi.
Il corpo di Maxwell venne ripescato dall'Atlantico e fu sepolto sul Monte degli Ulivi a Gerusalemme, con il premier Yitzhak Shamir a tessere l'elogio dell'uomo e dell'imprenditore.
Pochi giorni più tardi si scoprì nel suo impero un buco di 440 milioni di sterline. Peggio: Maxwell aveva usato i fondi pensione dei dipendenti per ripianare i debiti.
«La voce dell'Europa»
Fu proprio nell'agitato contesto degli suoi ultimi anni di vita che Maxwell concepì l'idea di una pubblicazione pan-europea con articoli di lunghezza medio-breve, scritti in inglese e destinati alle classi medie e/o dominanti europee. L'editore desiderava che da quelle pagine – ideale contrappeso, almeno in patria, a Time e Newsweek – si facesse sentire la «voce dell'Europa». L'obiettivo garantito agli inserzionisti era il raggiungimento delle 225 mila copie nei primi sei mesi, 150 mila da vendersi in Gran Bretagna. Considerata a posteriori, non era un'impresa del tutto impossibile. The European era innovativo e piacevole: stampa a colori (all'epoca dominava ancora il bianco e nero) e pochissime sezioni, molto dinamiche (una di notizie, una di business, una di cultura, molto ben strutturata, chiamata Élan).
Due mesi dopo il primo numero, le vendite dichiarate erano 340 mila copie (187 mila in Gran Bretagna e 153 mila in Europa). Per l'autunno era prevista una campagna pubblicitaria di 5 milioni di sterline, cifra da panico per alcuni editori. Maxwell, d'altra parte, pensava e lavorava in grande ed era un decisionista: a febbraio 1991, quando il venduto permaneva immobile a 226 mila copie, non si fece scrupolo di sostituire il direttore Ian Watson con John Bryant. «L'identità dell'European – disse Bryant – soffriva di schizofrenia: era una pubblicazione europea stampata in Inghilterra, percepita quindi in concorrenza con le altre testate nazionali. Incoraggiai i giornalisti a scrivere per lettori continentali e rieditare dove necessario il materiale per l'edizione inglese». Detto altrimenti: l'Europa era un grande e vitale mercato pieno di lettori bisognosi di notizie fresche, utili e senza frontiere. Mancava un «primo giornale nazionale d'Europa» e Maxwell puntava proprio lì. Altri tempi, vero?
(1. – continua, seconda puntata sabato 24 maggio. E parleremo anche del "Mitte", quotidiano digitale di Berlino e dintorni, in lingua italiana, per expat. Insomma, un'altra Europa...)
