«Dance Me»: esplosivo omaggio al mondo di Leonard Cohen

Dalla sua morte, avvenuta il 7 novembre 2016, non sono certo mancati gli omaggi musicali e poetici nei confronti di Leonard Cohen. Pensare però di racchiudere il mondo del cantautore canadese, ricco di personaggi e di storie commoventi, in uno spettacolo di danza è una sfida che sulla carta pare davvero ardua, soprattutto per i fan incondizionati dell’autore di Suzanne e tante altre indimenticabili ballate. Dopo aver assistito allo spettacolo Dance Me dei Ballets Jazz de Montréal, domenica sera al LAC nell’ambito della stagione di LuganoInScena, non si può che ricredersi.
Dance Me non è infatti unicamente costituite da una serie di efficaci coreografie (firmate da Andonis Fontadakis, Annabelle Lopez Ochoa e Ihsan Rustem) disegnate su alcuni dei brani più suggestivi del vastissimo repertorio coheniano, ma può contare su una drammaturgia (curata da Eric Jean) che non lascia nulla al caso e che, sulla base di una colonna sonora che dà spazio oltre che alle canzoni (in alcuni casi rimixate) a spezzoni di interviste e declamazioni di poesie, costruisce un racconto che a poco a poco conduce lo spettatore dentro l’universo del musicista e dello scrittore in un susseguirsi di sorprese. Sorprese che nascono, oltre che dalla fluidità e dalla precisione della quindicina di danzatori impegnati sulla scena, dal magistrale uso delle luci che danno vita a continui cambiamenti di prospettiva mettendo l’accento sulle ombre più cupe e le luci più accecanti del contesto, non solo concreto ma anche mentale, descritto da Cohen nei suoi testi.

Dance Me - che aveva ottenuto l’approvazione del cantautore e che ha debuttato a Montréal nel dicembre 2017 - riesce a tradurre in movimento anche le canzoni più lente di Cohen, grazie a uno sdoppiamento di ritmo da parte dei coreografi che permette di staccare ancora più nettamente la danza da qualsiasi velleità di «raccontare» una storia, ma in alcune circostanze mette in primo piano la musica rinunciando a qualsiasi intervento danzato. È quel che accade in due dei tanti momenti magici dello spettacolo: l’esecuzione di So Long Marianne cantata da una danzatrice dotata anche di una voce angelica e arricchita dal testo della commovente lettera che Cohen scrisse alla sua vecchia compagna in punto di morte; e il finale con quello che è forse il più celebre inno del cantautore (Hallelujah) cantato da un danzatore con una voce del tutto «normale». Quasi a voler significare che oggi il repertorio di Cohen è di tutti e tutti sono autorizzati a cantarlo per tenere in vita questa figura unica nel panorama della musica del Novecento. Alla fine, lunghissimi e commossi applausi per tutti i protagonisti in scena.