Dario Fo, il giullare che conquistò il mondo

MILANO - Una delle ultime fatiche di Dario Fo, premio Nobel per la Letteratura 1997 – morto ieri mattina all'Ospedale Sacco di Milano, dove era ricoverato da una quindicina di giorni, in seguito a un'insufficienza respiratoria – è stato un libro intervista con Giuseppina Manin, uscito per i suoi 90 anni compiuti il 24 marzo, intitolato Dario e Dio (Ed. Guanda). In esso si legge questo dialogo: Esiste? «No che non esiste» Sicuro? «Non c'è, non esiste, non ci credo. Però...» Però cosa? «Che invenzione. Come diceva Voltaire, Dio è la più grande invenzione della storia. E quel che più conta, ha fatto tutto da solo, si è inventato da sé». Non è un caso, se la figura di Gesù ha sempre affascinato Fo tanto che è al centro del suo spettacolo e testo più importante, quell'irriverente, umanissimo Mistero buffo nato nel 1969 e replicato per anni anche in giro per il mondo. Il lavoro si ispirava ai Vangeli apocrifi, ma poi portava in scena anche i re magi e Bonifacio VIII, storie e personaggi rivisitati con uno sguardo popolare e di umana partecipazione, ma finendo per esaltarne i lati paradossali. Il tutto recitato tanto con quel corpo elastico, parlante, disarticolato di Fo, quanto con la voce e la costruzione di un linguaggio inventato, il grammelot, tra l'arcaico e il padano, onomatopeico e allusivo. Una mimica, una capacità di improvvisare, che affonda le sue radici nella Commedia dell'Arte e nel teatro all'italiana, che finisce per essere alternativo al teatro ufficiale. È con Mistero buffo che Fo e la sua compagnia, di cui fa parte la sua compagna Franca Rame, rompe così rapidamente i rapporti con i teatri tradizionali e cerca luoghi diversi, in cui andare incontro al pubblico.
Le sue critiche a tutto campo lo portano ad avvicinarsi alle organizzazioni extraparlamentari e Fo e la Rame diventano un simbolo, tanto che nel 1973 un gruppo di fascisti sequestra e violenta la Rame. L'anno dopo si arriva quindi all'esperienza della Palazzina Liberty a Milano, occupata e poi legalmente affidata ai due attori dal Comune, in cui la coppia percorse l'impervia strada del teatro politico in anni di stragi, morti, feriti, sequestri. Certo è che questo giullare e mimo, questo attore e regista, autore e polemista, agitatore politico ha segnato assieme a Franca Rame la storia italiana dagli anni '60 agli anni '90 del Novecento, sempre andando un po' controcorrente, cercando sin dall'inizio di mettere «Il dito nell'occhio» del potere, come si intitolava il suo primo spettacolo del 1953, con Franco Parenti e Giustino Durano, cui seguì Sani da legare, subito colpito dalla censura con anche un primo scontro di Fo con la RAI, e l'abbandono della sua trasmissione radio. Il secondo avverrà con l'abbandono della conduzione di Canzonissima nel 1962, con un ostracismo durato 15 anni.