Memorie

Diario di un medico ticinese in missione in Montenegro

Il ritrovamento di un dattiloscritto dimenticato ha permesso di ricostruire la drammatica esperienza del dottor Elio Canevascini sul fronte jugoslavo con la Centrale sanitaria svizzera nella fase conclusiva della Seconda guerra mondiale
Elio Canevascini monta su uno dei «cavallini» che facevano parte del convoglio dell’ambulanza della Centrale sanitaria svizzera sul fronte jugoslavo.
Matteo Airaghi
Matteo Airaghi
16.03.2021 20:08

Elio Canevascini (Tenero, 1913- Mendrisio, 2009) non è certo uno sconosciuto. Medico e chirurgo insigne (fu primario all’Ospedale Beata Vergine di Mendrisio per un ventennio) il figlio dell’indimenticato consigliere di Stato socialista Guglielmo, fu sempre un fervente antifascista tanto che ben nota e documentata è la sua esperienza nel 1936 contro i franchisti in Aragona durante la Guerra civile spagnola. Meno studiata era invece sino ad ora la sua partecipazione in qualità di medico ad una missione (per quasi un anno) della Centrale sanitaria svizzera al seguito delle forze di liberazione titine sul fronte jugoslavo nelle drammatiche e sanguinose fasi conclusive della Seconda guerra mondiale. Il ritrovamento quasi casuale tra le sue carte private da parte dei figli del Canevascini di un dattiloscritto di una settantina di pagine ha consentito agli storici Danilo Baratti, Patrizia Candolfi e Renato Simoni di pubblicare per la Fondazione Pellegrini Canevascini un interessante ricerca (che inaugura una collana online) intitolata Con i partigiani in Montenegro. Ricordi di una missione della Centrale sanitaria svizzera (1944-45).

Elio Canevascini nel 2008, in occasione della consegna di una distinzione da parte del Comune di Mendrisio. ©CDT/Archivio
Elio Canevascini nel 2008, in occasione della consegna di una distinzione da parte del Comune di Mendrisio. ©CDT/Archivio

Testo originale

Il testo, redatto dal protagonista nel 1980, è presentato nella sua veste originale, con annotazioni e un commento dei curatori. Esso è preceduto da un’introduzione sulla Centrale sanitaria svizzera, che organizzò nell’ultima fase della Seconda guerra mondiale quattro missioni mediche in Jugoslavia, dove le forze di liberazione di Tito stavano lottando contro l’occupazione delle potenze fasciste e i loro alleati in loco. Una cospicua serie di fotografie, scattate tra i partigiani con l’apparecchio del medico ticinese, arricchisce questi ricordi. Anche allegati e carte geografiche aiutano il lettore a comprendere il contesto di questa forte testimonianza, mentre una bibliografia essenziale e dei link lo stimolano ad approfondire l’argomento.

«La FPC - ci spiega Danilo Baratti - era già molto legata alla figura di Elio Canevascini, che le ha affidato non solo le carte del padre (il noto politico socialista e Consigliere di Stato Guglielmo Canevascini), ma pure un’importante documentazione, anche fotografica, legata alle proprie esperienze nella guerra di Spagna e nella guerra di liberazione in Montenegro. Il ritrovamento di questo suo dattiloscritto del 1980 sulla missione della Centrale sanitaria svizzera in Jugoslavia è stata una sorpresa, sia per i figli che se lo sono trovati tra le mani, sia per noi. Abbiamo subito pensato che andasse pubblicato, anche se non sapevamo bene come: un po’ troppo corto per farne una pubblicazione autonoma, un po’ troppo lungo per pubblicarlo in una rivista. Proprio in quel momento si stava discutendo l’ipotesi di creare una collana online e così abbiamo deciso di inaugurarla con queste memorie: è un giusto omaggio a un medico battagliero e generoso ma anche un documento impressionante sulla realtà della guerra di liberazione della Jugoslavia. Per finire ne è uscito un lavoro di una novantina di pagine che avrebbe anche giustificato un’edizione cartacea».

Delusione cocente

Come detto, Elio Canevascini è ricordato più spesso per la sua partecipazione giovanile (era ancora studente di medicina) alla guerra di Spagna, in una milizia anarchica. Non ne parlava molto volentieri, anche perché era rimasto molto amareggiato dalla conclusione di quella vicenda (non solo per la vittoria dei franchisti ma anche per i conflitti interni al fronte repubblicano). Di alcune circostanze di quest’altra esperienza in Jugoslavia, più matura e impegnativa, esaltante e desolante, aveva parlato in un documentario di Werner Weick e in uno più recente di Daniel Künzi, interamente dedicato alle missioni della CSS in Jugoslavia. «Benché non manchino qua e là accenni alle vicende storiche - prosegue Baratti - , quello di Elio Canevascini è essenzialmente il racconto vivo dell’esperienza quotidiana di un medico in guerra, con le situazioni concrete che si trova ad affrontare, e anche, più tra le righe, la riflessione di un uomo sulle dinamiche della guerra. Siamo sopprattutto noi curatori a precisare il contesto storico, nell’introduzione, nelle note e nel commento». «E in fondo - aggiunge Patrizia Candolfi - è anche un capitolo di storia della medicina. Nel quadro complessivo della chirurgia dell’epoca in condizioni di emergenza, spicca il metodo di ingessatura delle ferite introdotto dall’ammirevole medico Alfieroff, maggiore dell’esercito russo, che permetteva di ridurre al minimo le amputazioni altrimenti inevitabili. D’altronde noi - conclude Candolfi - Canevascini l’abbiamo conosciuto, e lo riconosciamo in questo testo – e anche in quello di Paul Parin (lo psiconalasita svizzero amico e sodale di Canevascini, ndr.) che completa il racconto di Elio per i mesi successivi, quando Elio continua l’attività di chirurgo insieme ai colleghi della prima spedizione della CSS in Jugoslavia. E lì ritroviamo altri tratti tipici del carattere di Elio in certe sue sfuriate contro le prime avvisaglie dell’affermazione della burocrazia di stampo stalinista. In Montenegro un’esperienza durissima per le condizioni terribili in cui si è trovato a operare come unico medico aggregato a una brigata di partigiani. Spostamenti continui, feriti in condizioni spaventose da operare di notte in alloggi di fortuna, alla luce di lampadine tascabili o mozziconi di candela. Il freddo, la fame, la crudeltà di certe punizioni esemplari. Le successive esperienze cittadine narrate da Parin si svolgono in condizioni logistiche decisamente più favorevoli: ma qui ecco gli ostacoli creati dalla stupidità e arroganza burocratica, probabilmente per Elio ancora più assurdi e intollerabili dopo l’esperienza precedente». Un racconto di impegno militante dunque, avvincente anche per la modestia e la sobrietà antieroica del protagonista, un figlio del Ticino migliore che diventa paradigma di tutte le utopie, le speranze, le lotte e le delusioni della grande Storia del Novecento.

Edizione digitale

Il libro cartaceo (vedi immagine sotto) è fuori commercio. La versione digitale è liberamente scaricabile da www.fpct.ch. Elio Canevascini, Con i partigiani in Montenegro. A cura di Danilo Baratti, Patrizia Candolfi e Renato Simoni. Fondazione Pellegrini Canevascini. Pagg.86.

Per una storia sociale della Svizzera italiana

La Fondazione Pellegrini Canevascini (FPC) è nata nel 1965 e si dedica principalmente al recupero e riordinamento di fondi archivistici relativi alla storia sociale e del movimento operaio nella Svizzera italiana. I fondi catalogati sono poi depositati presso l’Archivio di Stato. Oltre agli archivi cartacei la FPC presta particolare attenzione alle fonti iconografiche e al patrimonio audiovisivo. La FPC svolge anche un’attività editoriale, al cui centro sta la collana «Quaderni del movimento operaio della Svizzera italiana». Alla fine del 2020 ha inaugurato una collana online con la pubblicazione di cui parliamo in questa pagina. La prossima uscita sarà Antifascisti italiani a Madrid, una comunicazione di Renato Simoni a un convegno storico tenutosi a Gorizia nel 2018. Le pubblicazioni online sono liberamente scaricabili dal sito www.fpct.ch. Informazioni utili su Elio Canevascini si possono trovare a questo link.