Diego Fasolis: «Il mio sogno? Bach in un’atmosfera rock»

È una primavera intensa quella che il direttore d’orchestra ticinese Diego Fasolis concluderà domenica sera (ore 20.30) all’auditorio della RSI di Lugano-Besso con i Barocchisti e il Coro della RSI in un concerto dedicato a pagine di Gluck e Händel. Una stagione che l’ha visto impegnato contemporaneamente su podi prestigiosi, dove ha riscosso successi anche inattesi nella loro portata. Lo abbiamo intervistato.
Diego Fasolis: analizzando le sue ultime settimane sembra si stia allenando a sviluppare il dono dell’obiquità?
«Quasi (ride...). In effetti è stato un periodo intenso. Iniziatosi con l’Agnese di Paër a Torino al termine della quale sono partito per la Fenice di Venezia dove per sei settimane sono stato impegnato con la Dorilla in Tempe di Vivaldi, prima di trasferirmi a Losanna per l’Orfeo ed Euridice di Gluck. Un programma intenso ma fattibile. Senonché si è inserito il sovrintendente della Scala Pereira pregandomi di intervenire per l’Idomeneo di Mozart. “Il maestro Von Dohnani lascia il progetto, devi venire, io e l’orchestra vogliamo te”. Gli ho risposto che ero impegnato ma lui ha insistito. “Prendi l’agenda che noi spostiamo quello che dobbiamo spostare in modo che tu ci possa essere”. Di fronte a ciò ho accettato – anche perché alla Scala è difficile dire di no – sparandomi prove e recite contemporaneamente agli altri progetti: in pratica 47 viaggi tra Venezia-Milano (finché ero a Venezia) e poi tra Milano-Losanna: con l’ultima settimana in cui ho diretto tutte le sere: una a Milano, l’altra a Losanna».



Quali difficoltà ha incontrato durante questa maratona?
«Anzitutto nell’entrare sempre al 100% nel clima di ogni opera che fai (perché tra Vivaldi e Mozart c’è sempre una bella differenza). Poi l’adattarsi alla diversa acustica delle sale: un conto è il Malibran di Venezia o l’Opéra di Losanna con 900 posti, e un conto è la Scala che ne contiene quasi 2000. E poi il lavorare ogni sera con un’orchestra totalmente diversa, anche come atteggiamento. Alla fine ha funzionato, però è stato necessario lavorare duro, senza dare alcunché di scontato».
Ha detto che la Scala è un teatro cui è difficile dire di no. Che soddisfazione c’è nell’essere cercati da loro?
«La più grande è di potervi costruire qualcosa. Che è diverso dal dirigere un’opera e andarsene. Adesso sto lì da 4 anni, l’anno prossimo mi hanno già confermato Il turco in Italia di Rossini; ad ottobre andrò in Cina con loro a dirigere La finta giardiniera e Il Flauto magico di Mozart: insomma c’è un bel rapporto con tutta la struttura».
Abbiamo parlato dei rapporti con le orchestre, che non sono semplici. E quelli con le grandi star?
«Le più grandi con cui ho avuto a che fare sono Cecilia Bartoli e Placido Domingo: due persone amabili e dunque non ci sono stati problemi. Domingo è straordinario: un appassionato di opera che a quasi 80 anni continua a cantare, in qualunque ruolo, perché gli piace. Con Cecilia Bartoli ho avuto un rapporto stretto per cinque anni, con centinaia di concerti e vari dischi. Lei ha un suo modo di agire: se il binomio con il suo direttore musicale comincia ad essere riconosciuto come tale, lei preferisce cambiarlo o sospenderlo. Una Primadonna meritatamente assoluta».



Uno sguardo ora al suo figlio prediletto, I Barocchisti.
«Per loro questa stagione è stata difficile dopo la decisione della SSR di “liberarsi” dei suoi complessi musicali. Di fronte alla quale sono scettico: trovo che non gestirli direttamente, ma spendere quasi la stessa cifra per acquistargli dei progetti sia discutibile: è come rinunciare al proprio ristorante stellato per diventare semplici “furieri”. Comunque sia resta il fatto che ora I Barocchisti hanno minor supporto gestionale e in sostanza meno mezzi . Tanto che adesso si tratta di decidere se e come andare avanti...»
Perché, c’è la possibilità che I Barocchisti chiudano bottega?
«A meno che non ci arrivino altri supporti e io rinunci alla mia attività di direttore ospite, non sarà facile andare avanti, soprattutto organizzativamente. Era infatti proprio il supporto amministrativo-organizzativo il vero valore aggiunto dell’essere all’interno della SSR. Ora si tratterà di decidere come fare nel futuro potenzialmente senza RSI».
Ha già qualche idea?
«Lavorare sul nostro repertorio. Che è ineguagliabile perché è tra i pochi ad essere eseguito con strumenti originali. Tanto che un’importante casa discografica vuole acquistarlo in blocco: oltre 250 produzioni. Poi ci sono altre iniziative: come l’integrale delle Sinfonie di Beethoven (diversa da quella intrapresa dall’OSI) che nel 2020 incideremo al LAC per la catena ARTE».
A proposito di LAC, come vanno i suoi rapporti?
«Sono molto migliorati. Dopo lo scandalo di non essere stato invitato all’inaugurazione, si é voluto rimettere le cose a posto. E il Barbiere di Siviglia è stato il primo passo. Ora andiamo avanti. Tanto che stiamo studiando per il 2021 un progetto assieme a Daniele Finzi Pasca del quale per ora non posso ancora svelare il titolo. Si è insomma aperto un nuovo corso alla base del quale è stata la volontà di Di Corato assieme al buon rapporto sviluppatosi con i direttori nel “Barbiere”».



E con L’OSI?
«C’è stato uno screzio verificatosi nel periodo in cui aveva saputo che avrebbe ricevuto meno soldi dalla SSR. Per cui io, che a quel momento non ero toccato da quei tagli, sono stato visto un po’ come un nemico. E si è creata un’atmosfera difficile. Adesso però le cose vanno meglio tanto che l’anno prossimo tornerò a dirigerla nel Concerto del Venerdì Santo in cui proporremo Cristo sul Monte degli Ulivi di Beethoven. Inoltre sempre con l’OSI a Novembre realizzeremo un progetto che era sul tavolo per l’inaugurazione del LAC: Casanova e l’Albertolli di Flury: un’opera scritta negli anni ’30 che metteremo in scena grazie anche al contributo del figlio del compositore che, pensate, ha venduto un terreno per finanziare la produzione. Un gesto nobile che speriamo di ricompensare con la qualità del risultato».
Chiudiamo con uno sguardo al futuro, non tanto dal punto di vista dei programmi (che come visto sono tanti) quanto da quello dei desideri. Qual è il suo sogno?
«Difficile dirlo perché tante cose belle che sognavo e nemmeno speravo si sono già realizzate. Quindi che posso dire? Mi piacerebbe avere i soldi per una faraonica produzione che avvicini il Barocco alle nuove generazioni. Tipo una Johannesspassion di Bach in versione rock, orchestra, basso elettrico, chitarre e doppia batteria da proporre in uno stadio con luci ed effetti scenici da mandare il pubblico in delirio...»