Mostre

E la rivoluzione romantica conquistò l’arte svizzera

Il Kunsthaus di Zurigo tematizza, con una retrospettiva di respiro internazionale, il fondamentale contributo degli artisti elvetici all’evoluzione della pittura paesaggistica europea dalla fine del Settecento agli esiti ottocenteschi
Franz Niklaus König, Cappella di Guglielmo Tell sul Lago dei Quattro Cantoni intorno al 1810. Acquarello su carta trasparente, cm.84x119. Kunstmuseum Bern, Bernische Kunstgesellschaft/Pro Litteris
Matteo Airaghi
Matteo Airaghi
09.12.2020 06:00

Ma che gran romantici questi svizzeri! Si esce stravolti da una sorta di Sturm und Drang dell’animo dalla coinvolgente mostra sul Romanticismo in Svizzera che col titolo evocativo Wild at heart (o Im Herzen wild che dir si voglia) il monumentale Kunsthaus di Zurigo ha allestito in pompa magna per questo inverno a dispetto di scontenti, mascherine e pandemie. D’altronde se tutti ricordiamo la rivoluzione romantica che conquistò l’Europa in tutte le sue declinazioni culturali fin dalla fine del Settecento reagendo alle rigide sicurezze del «buon gusto» codificato del razionalismo e del classicismo accademico come qualcosa di particolarmente tedesco, inglese e poi francese e italiano sarebbe ingiusto dimenticare come il Paese nel cuore delle Alpi (con tutto quello che ne consegue) cioè la nostra Svizzera, della temperie romantica fu in ogni aspetto formidabile protagonista quando non in alcuni casi addirittura epicentro.

Lo sappiamo, il Romanticismo si afferma in Europa verso la fine del Settecento: nelle opere gli artisti danno sfogo ai sentimenti e al fascino dell’inspiegabile proprio superando l’approccio sobrio e razionale del classicismo. È allora che gli artisti svizzeri scoprono inevitabilmente il paesaggio circostante come motivo pittorico e imprimono sulla tela le maestose vedute di montagna e le nevi perenni dei ghiacciai. Il curatore della mostra zurighese, Jonas Beyer, si dedica con algido metodo filologico e precisione forse persino un po’ troppo didattica, finalmente a questo periodo fondamentale per l’arte elvetica, studiato finora solo in diversi aspetti singoli. La mostra parte da Johann Heinrich Füssli, passando per Alexandre Calame fino ad arrivare al giovane Arnold Böcklin: con oltre 160 opere viene messo in evidenza il decisivo contributo degli artisti svizzeri all’evoluzione della pittura paesaggistica europea. L’esibizione segue i pittori nelle accademie di belle arti all’estero e pone in risalto gli stretti legami esistenti fra di loro. Grazie al raffronto con celebri esponenti del Romanticismo di Paesi vicini, quali Caspar David Friedrich, Eugène Delacroix e William Turner, questo bel giro d’orizzonte pone l’accento sul contributo svizzero al movimento romantico in una prospettiva realmente internazionale.

Incentrandosi infatti su un Romanticismo di matrice squisitamente svizzera, è possibile approfondire il rapporto fra l’impronta locale e le reti di scambi internazionali. Il peculiare spirito di rottura che caratterizza l’arte svizzera dell’epoca si manifesta di fatto in un intenso dialogo con gli artisti dei Paesi confinanti. I pittori svizzeri dell’epoca presero d’assalto le accademie di Parigi, Dresda e Vienna, ove diedero vita a dinamiche reti di contatti, mostrando una spiccata sensibilità per le caratteristiche specifiche del rispettivo contesto. Al contempo, il paesaggio svizzero, come era logico che accadesse, divenne, sin dalla fine del Settecento, un motivo di forte richiamo per gli esponenti del Romanticismo provenienti da altri Paesi. Alla luce di tale vivace scambio internazionale, i curatori preferiscono parlare di un «Romanticismo in Svizzera» piuttosto che di un «Romanticismo svizzero». In tal modo vengono messe in luce tendenze comuni, ma anche peculiarità artistiche legate al luogo di provenienza. Con questa logica il visitatore può vedere quadri, disegni e filmati raggruppati in maniera tematica sui 1000 mq. della gigantesca sala espositiva.

Habitat perfetto

Accorgendosi che per le arti figurative (e per la pittura in particolare) il paesaggio, la natura, la geografia ma persino l’ambientazione storico/leggendaria della Svizzera era un humus ideale per la temperie romantica e per il suo modo di rappresentare, o meglio, interpretare la realtà. Se questa è probabilmente la cifra filosofica del sentire romantico, non c’è dubbio che essa costituisca l’avvio non soltanto di una fecondissima stagione pittorica, ma anche del sentimento estetico comune, in cui le montagne diventano il principale soggetto del genere paesaggistico, spazio nel quale l’epoca proietta il proprio desiderio di libertà, solitudine, avventura e selvaggio. Pur senza poter in alcun modo ricondurre a una considerazione unitaria i differenti stili e le diverse personalità di moltissimi artisti, la temperie romantica si lascia riconoscere per la Stimmung dello sguardo portato sulla natura dei monti, e anche per la sua collocazione del punto di vista a un’altezza ideale, che, sotto molti aspetti, il gusto paesaggistico per le montagne non ha più abbandonato, favorito anche, con il trascorrere del tempo, dalle nuove possibilità aperte dalle vie di comunicazione e dai mezzi di trasporto per avvicinarsi alle vette un tempo inaccessibili e mostruose.

Spiriti libertari

Ma la bella mostra zurighese non si ferma qui: alla teoria del sublime, come noto, il Romanticismo figurativo affianca con forza anche quella del pittoresco nonché la fascinazione continua degli aspetti storici e mitici come luogo privilegiato delle emozioni, della nostalgia anche in un senso politico che, in piena Restaurazione, impone un’opera morale ricolma e nutrita di spiriti libertari. Così questo viaggio nel turbinio romantico non è fatto soltanto di montuosi paesaggi sublimi o navi drammaticamente in fiamme su mari in tempesta, non ci sono soltanto dirupi e ghiacciai o ponti del diavolo di orrida meraviglia. La mostra tematizza anche alcuni argomenti che innervano quella stagione, a partire dalla ossianica trasposizione pittorica dei grandi poemi epici del Romaticismo (come il byroniano Manfred) o il profondo legame che anche gli artisti elvetici ebbero con alcune «scuole romantiche» ( su tutte il germanico e ribollente «circolo di Jena») in una osmosi gravida di effetti e di conseguenze anche a lungo termine. Un capitolo a parte è (anche spazialmente) dedicato all’attenzione che complice il rituale Grand Tour o l’inevitabile «viaggio a Roma» gli artisti svizzeri ebbero per le sirene del Sud e per l’Italia anche negli aspetti più folkloristici o nelle sue estetizzanti ma idealizzate manifestazioni «romantiche»; come nel caso del brigantaggio o ancora nella peculiare vicenda romana del movimento quasi iniziatico e neocatecumenale dei Nazareni in cui tanta parte ebbero alcuni giovani pittori svizzeri. E un viaggio è in definitiva e anche quello che si propone al visitatore del Kunsthaus. Un viaggio in un modo di concepire emotivamente la cultura umana che segnò almeno mezzo secolo delle vicende europee di cui viene finalmente riconosciuta anche l’importanza e la specificità dell’impronta svizzera.