Tendenze

E l’etica finì dentro il piatto

Nuove scelte sulle nostre tavole per non far soffrire gli animali e tutelare il pianeta
Chissà quanto è sostenibile le memorabile spaghettata di Alberto Sordi nel film di Stano «Un americano a Roma» (1954)?
Manuel Guidi
21.12.2019 06:00

Durante le festività natalizie i buongustai mettono in pausa ogni dieta. Non vanno però in vacanza le diete etiche, ossia le scelte alimentari dettate da animalismo ed ecologismo. Tra Natale e Capodanno aumenta anche lo spreco alimentare, che in Svizzera registra ben 2,6 milioni di tonnellate di cibo buttato all’anno. Così, anziché austero ascetismo, il periodo della Natività è diventato sinonimo di opulenza, incuria per l’ambiente e indifferenza per chi fa la fame. Il problema, in termini di sostenibilità, non è però solo quanto compriamo, bensì che cosa.

In base agli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite e all’Accordo di Parigi, 37 scienziati provenienti da 16 Paesi, sostenuti dalla prestigiosa rivista Lancet, hanno allora proposto una «dieta planetaria», in cui si raccomanda una drastica diminuzione di carne rossa e zucchero.

De gustibus...

Le scelte alimentari non sono più neutrali: de gustibus est disputandum, anche sui gusti bisogna discutere, specialmente pensando ai fenomeni di colonizzazione del palato e al neuromarketing applicato al cibo. Oltre alle questioni economiche e ambientali ci sono poi quelle etiche legate alla sofferenza animale. In ogni disputa sull’etica a tavola, le remore animaliste sono però destinate a scontrarsi con la nostra (naturale?) tendenza all’edonismo e di fronte all’argomento «il foie gras è una delizia» crolla nel gourmet qualsiasi considerazione sul benessere dell’oca. Proprio il foie gras è spesso preso di mira dai sostenitori del cibo «cruelty-free», tanto che qualche tempo fa è stato bandito dalla città di New York, come già in California, dove Schwarzenegger l’aveva vietato anni fa. A detta dei produttori però, il gavage (l’operazione di ingozzare oche e anatre, in Svizzera vietata da quarant’anni) è una pratica antica risalente agli egizi e non dolorosa per l’animale, che in natura ingurgita grossi pesci interi. Ma il punto qui è un altro e si chiama «specismo», ovvero la discriminazione dei viventi in base alla specie. Anche gli animali però non sono tutti uguali, lo sanno bene i pescetariani, che considerano molto diversi pesci e mammiferi. Differenze ancora più evidenti nei molluschi bivalvi, come vongole e ostriche, che essendo privi di sistema nervoso centrale, sono incapaci di provare dolore come noi lo intendiamo.

Il bilancio ecologico

Altre distinzioni hanno poi senso soprattutto sul piano ambientale, più che su quello morale. Il bilancio ecologico del pollo, del maiale o del coniglio, è infatti diverso da quello dei bovini, il cui allevamento richiede ingenti quantità di risorse agricole e idriche. Eppure, c’è chi si fa scrupoli a mangiare un coniglio mentre non ha problemi a comprare manzo industriale. C’è poi la carne degli abbattimenti selettivi, come da noi il cinghiale o il canguro in Australia, che pone chiaramente quesiti etici diversi. In un campo così complesso, tra considerazioni morali, mediche e ambientali, non è facile orientarsi, specialmente di fronte alla nostra naturale empatia nei confronti degli animali a noi più simili, che ci impedisce ad esempio di mangiare cervello di scimmia. Lo stesso vale per gli animali considerati nobili, come il cavallo o il cervo (quello dei nostri salamini è spesso neozelandese), la renna in Finlandia, la carne secca di balena in Norvegia, lo stufato di orso in Carelia o il cane in Cina. Eppure l’impatto ambientale di queste carni non è neanche paragonabile a quello degli allevamenti bovini. Anche per questo, può apparire ipocrita la scelta di proibire il foie gras in un paese come gli USA che, con una media settimanale di quasi due chili di carne procapite, detiene il record di consumo di proteine animali.

Un atto politico?

Mangiare è allora un atto politico? Le scelte che facciamo a tavola hanno un impatto sull’economia e sull’ambiente e promuovono tipi diversi di società. Tuttavia, nella giungla dei marchi di garanzia etica, ecologica e biologica, a volte autoattribuiti, non è facile capire la reale incidenza delle proprie scelte alimentari. Comprare frutta biologica ma importata fuori stagione da oltreoceano gratifica forse la salute individuale, ma non quella planetaria. Ogni acquisto consapevole implica allora un complesso calcolo energetico, impossibile di fronte allo scaffale del supermercato.

Le diete etiche e salutistiche riempiono oggi gli scaffali delle librerie, ma anche l’attenzione per l’alimentazione corretta può diventare patologica, si tratta di una sindrome classificata di recente che si chiama «ortoressia». Oltre tre secoli fa, La Rochefoucauld disse: «mangiare è un bisogno, saper mangiare è un’arte» ma quale dev’essere il rapporto tra quest’arte e l’etica è una decisione individuale, che ognuno deve prendere soppesando le esigenze della ragione, del cuore e del palato.

L’esperto Massimo Montanari: «Il cibo è una religione»

Un gruppo di ricercatori ha recentemente elaborato la dieta della salute planetaria. Per nutrirsi l’uomo trasforma in molti sensi la natura, ma da quando guardando al proprio piatto ha iniziato a farsi domande sul rapporto con la natura? Lo abbiamo chiesto all’esperto di alimentazione Massimo Montanari (nella foto sotto).

«È esclusivamente moderna la preoccupazione per la salute dell’ambiente, come tema dominante del discorso alimentare. Per mangiare l’uomo ha sempre trasformato la natura, e ovviamente si è premurato di farlo in modi sostenibili, per non rischiare di perdere le risorse. Ma mai come in questa epoca il tema è diventato importante di per sé – non, voglio dire, in funzione del cibo che l’uomo trae dalla trasformazione della natura, ma in funzione della natura stessa, che, oggi, l’uomo grazie alla tecnologia è in grado di trasformare in maniera più invasiva, spingendosi fino alla sua distruzione».

Il vegetarianismo può essere oggi una scelta etica, ecologica o salutistica. Storicamente cosa è cambiato nelle motivazioni a base della propria dieta?

«La scelta vegetariana ha avuto, in passato, soprattutto motivazioni di tipo animalista: il rispetto della vita degli animali, sentiti come partecipi di una vita universale. Questo è stato vero in certe filosofie dell’antichità, e anche in certe religioni soprattutto orientali. La tradizione biblica (con le sue derivazioni ebraica, cristiana, islamica) ha invece insistito di più sul dominio dell’uomo e sulla diversità fra uomo e animali. In ambito cristiano si è arrivati a condannare chi fa scelte vegetariane per una forma di rispetto, ammettendole solamente come forma di penitenza, di rinuncia. In passato è anche apparsa la variante salutistica di questa dieta, che personalmente ritengo una sorta di valore aggiunto per confermare la ‘purezza’ della scelta animalista. In ogni caso è esistita. Ciò che invece è assolutamente moderno è il terzo aspetto, la versione ecologica, cioè il rispetto della natura. Questo nasce con la consapevolezza di stare distruggendo il pianeta».

L’antico testamento, in particolare il Levitico, abbonda di precetti sul cibo. Leggendoli si ha l’impressione che si tratti di norme igieniche poi cristallizzate in precetti morali. È questa l’origine di questi precetti o ci sono altre motivazioni?

«Non è esattamente così. Le interpretazioni igieniche di questi precetti (come di tutti i precetti religiosi legati al cibo) sono frutto della cultura moderna. Nei testi, queste interpretazioni non appaiono e non c’è alcun motivo perché noi li sovrapponiamo a ciò che i testi dicono. Fra gli antropologi e gli storici oggi di gran lunga prevalgono le spiegazioni di tipo simbolico rispetto a quelle di ordine materiale e funzionale (igieniche appunto, oppure ecologiche-economiche). Il presupposto che tutto accada perché è utile, o serve, o è razionale è contraddetto dalla storia. Motivazioni simboliche significa, per esempio, che le norme bibliche fissano una distinzione puro/impuro (come poi vengano fissate le due categorie è un altro discorso) come elemento simbolico di distinzione fra il popolo eletto e gli altri. Al suo popolo Dio dice semplicemente: voi siete diversi, dovete mangiare in modo diverso. Io ho scelto voi, voi scegliete il vostro cibo e distinguetevi».

Un suo libro recente è stato dedicato al rapporto dei cristiani con il cibo. Esiste un’etica cristiana del mangiare?

«Appunto. Il cristianesimo rompe la tradizione ebraica e nega l’esistenza di regole alimentari basate su una purezza o impurità ‘oggettiva’ dei cibi. Il cristianesimo sposta il baricentro del discorso alimentare sul soggetto: è chi mangia, per come mangia, per quale atteggiamento ha, ecc., a dare valore a un gesto (il mangiare) che di per sé non ha alcun valore. Questa rottura, che rende leciti tutti i cibi, è funzionale simbolicamente al cambiamento radicale di prospettiva religiosa: l’ebraismo è religione di popolo, il cristianesimo presume di rivolgersi a tutti, è religione che vuol essere universale, quindi abolisce le distinzioni fra i cibi così come ha abolito la distinzione fra i popoli».

Il cibo è da sempre legato alle classi: il nobile, il borghese e il contadino mangiavano diversante. Anche oggi l’alimentazione riflette la stratificazione sociale, ma forse in modo diverso. Cosa è cambiato?

«La società contemporanea nasce dal presupposto, proclamato dal pensiero illuminista, che gli uomini sono tutti uguali, cosa che fino al Settecento nessuno pensa. Quindi l’alimentazione non può essere distinta fra le classi sociali per una sorta di necessità ontologica, antropologica, per una differenza biologica fra gli individui (come scrivono gli intellettuali del Medioevo e del Rinascimento). Ma le differenze esistono. Sono però diverse. Legate alla disponibilità di denaro, ovviamente. Ma, forse soprattutto, alla conoscenza. Sapere è la parola d’ordine. Il buon gusto del gourmet, dell’esperto, di chi conosce... qui oggi si fissa la vera distinzione sociale. Sul piano culturale e non sul piano dell’appartenenza di classe».

Oggi abbondano gli show televisivi dedicati alla cucina. Il culto del cibo che sembra caratterizzare la nostra epoca ha origini antiche o è un fenomeno prettamente moderno?

«È fenomeno moderno il fatto di concentrare sul cibo tante attenzioni mediatiche. Ma attenzione: la modernità sta nel mezzo di comunicazione, i media appunto, che si rivolgono a un universo enorme di persone e sono un fenomeno di massa. Anche in passato di cibo si parlava molto, perché attorno al cibo ruota, per necessità, la vita degli uomini. Solo che, in passato, la comunicazione era riservata a pochi».

La nostra sarà ricordata come l’era del pollo

L’antropocene è l’attuale era geologica? Per definire una nuova era nella scala dei tempi geologici come tipica dell’attività umana, questa deve lasciare una traccia nella stratigrafia a livello planetario. Gli scienziati discutono se l’inizio dell’era umana sia da collocare nel neolitico, con l’inizio dell’agricoltura, nel 1492 con lo scambio di piante e animali tra continenti, nella rivoluzione industriale con l’impronta lasciata dai combustibili fossili, oppure negli anni ’50 con i test nucleari e le relative tracce radioattive riscontrabili nel terreno. Una proposta recente, pubblicata su Royal Society Open Science, individua invece nelle ossa dei polli da allevamento la traccia che i geologi e i paleontologi del futuro useranno per identificare la nostra epoca. Le ossa dei 23 miliardi di polli da allevamento attualmente presenti sulla terra hanno infatti caratteristiche chimiche e anatomiche peculiari, differenti dai loro predecessori e conseguenti alle esigenze del mercato del pollame. L’enorme quantità di ossa risultanti dalla macellazione di 65 miliardi di polli all’anno, una volta fossilizzatasi, segnerà così la nostra epoca come l’era del pollo.

DA SAPERE

Kosher: è la cucina ebraica. Niente maiale, frutti di mare e mescolamento di latte e carne. In Svizzera la carne kosher è importata poiché si proibisce lo stordimento dell’animale prima della macellazione.

Halal: significa «lecito» secondo la legge islamica. In cucina esclude maiale e alcol. La macellazione halal consente di stordire l’animale ed è quindi permessa anche da noi.

Induista e giainista: è una dieta prevalentemente latto-vegetariana. Si basa sul principio della ahimsa, ossia la non violenza.

Buddista: molti monaci sono vegetariani in ossequio al primo dei Cinque precetti buddisti, che vieta di far del male a ogni essere vivente.

Salutistiche

Vegetarianismo: esclude carne e pesce ma contempla derivati animali, quali latticini, uova e miele. Da Pitagora a Einstein, molti santi, filosofi e scrittori furono vegetariani per ragioni etiche.

Semivegetarianismo: è una forma di vegetarianismo che ammette un consumo occasionale di carne. Secondo molti nutrizionisti è la scelta migliore dal punto di vista alimentare.

Veganismo: esclude tutti i prodotti animali, anche uova e latticini. I vegani animalisti escludono anche pelle e cuoio dal loro vestiario.

Pescetarianismo: consente pesce e frutti di mare. Le sue motivazioni salutistiche sono purtroppo messe a rischio dai metalli pesanti e dalle microplastiche sempre più presenti in mare.

Macrobiotica: resa popolare da Georges Ohsawa negli anni ’30 e fondata sull’equilibrio tra Yin e Yang, la sua salubrità è controversa poiché non si basa sulla composizione degli alimenti ma sulle loro caratteristiche metafisiche. Sebbene cibi biologici, freschi, di stagione e coltivati localmente siano anche lasciti dello stile di vita macrobiotico, alcune versioni di questa dieta possono dare luogo a carenze alimentari.

Crudismo: prevede solo alimenti crudi e si basa essenzialmente su considerazioni di carattere salutistico che però non mettono d’accordo tutti. Per i crudisti è strano che l’uomo sia l’unico animale a cuocere i cibi.

Fruttarismo: prevede solo frutta, categoria che contempla anche pomodori e piselli. I fruttariani salutisti partono dall’assunto che l’uomo sia essenzialmente frugivoro (mangiatore di frutti e semi), quelli etici dal rispetto della vita vegetale (la frutta va colta solo se matura), oltre che animale.

Paleodieta: è la dieta dei cavernicoli, è ricca di proteine e grassi animali e si basa sull’idea di una degenerazione dell’uomo a partire dall’invenzione dell’agricoltura. Fu pensata negli anni ‘30 da un dentista americano di nome Weston Price che a sessant’anni decise di girare il mondo e notò l’assenza di alcune patologie, come la carie, nei popoli indigeni. Imputò il fatto all’alimentazione e inventò questa dieta primitivista.

Dieta del gruppo sanguigno: ideata nel 1997 dallo statunitense Peter D’Adamo a partire da considerazioni di carattere evoluzionistico, determina la scelta dei cibi in base al gruppo sanguigno. Non ha però basi scientifiche.

Respirianesimo: anche detta alimentazione «pranica» o «bretarianismo», è fondata sulla credenza che si possa vivere senza mangiare, una capacità attribuita a vari santoni.