Musica

E Sebalter incontrò l’Orchestra

Pubblico entusiasta al LAC per il cantautore ticinese in concerto con l’OSI
Il concerto di Sebalter e l’OSI, lunedì al LAC. (Foto Milo Carpi)
Stefano Bazzi
19.02.2019 16:37

LUGANO - Lunedì sera il concerto di Sebalter e dell’Orchestra della Svizzera italiana ha richiamato al LAC un pubblico da tutto esaurito e molto eterogeneo, per età, per gusti e abitudini musicali. Sebastiano Paù-Lessi e gli otto componenti della band hanno dato vita a un repertorio di circa venti canzoni, recenti e meno recenti, arrangiate appositamente per l’OSi. La nostra orchestra non è nuova a progetti «crossover» (basti pensare ad Estival Jazz) e il suo contributo è stato professionale, mai compassato, sempre convinto e pieno di energia.

Ogni volta che la musica leggera viene eseguita da un gruppo rock e da un’orchestra sinfonica, vi è il rischio che i due mondi, anziché rafforzarsi e illuminarsi a vicenda, tendano a limitarsi e a non osare al di là delle convenzioni, come se ci fosse timore reverenziale o diffidenza reciproca. Fra le poche eccezioni, mi vengono in mente gli inserti orchestrali in A Day in the Life dei Beatles e gli archi arrangiati da Jonny Greenwood per gli album dei Radiohead. Gli arrangiamenti di Emil Spányi, che lunedì ha diretto l’orchestra, e di Daniel Macullo non sono sfuggiti alla consuetudine: se da una parte ho ammirato la gran mole di lavoro, la sicurezza nella scrittura sinfonica e la ricerca di equilibrio fra gli strumenti, dall’altra il ruolo dell’orchestra è rimasto, in sostanza, quello tradizionale di amplificare le strutture melodiche, armoniche e ritmiche già presenti nel suono della band («l’orchestra è per noi una tastiera», diceva il leader di un famoso gruppo rock progressivo). La presenza dell’orchestra è stata importante per l’impatto e la teatralità del concerto (elementi che il mondo classico spesso trascura), ma non essenziale dal punto di vista sonoro.

La parte centrale del programma ha valorizzato alcuni strumenti solisti, che hanno dialogato con la voce e con il violino di Sebalter: due trombe, un’arpa, due oboi, due clarinetti e un quartetto d’archi (molto suggestiva l’atmosfera nel brano Not Every Picture Means Goodbye). Particolarmente riuscita l’integrazione fra band e orchestra – grazie anche alle tastiere di Jonas Macullo e alla batteria di Xavier Longchamp – nelle canzoni Shadows e September, tratte dal primo album, Vancouver e Butterfly (con i clarinetti solisti a loro agio), tratte dal secondo. Durante la serata Sebalter ha rispolverato canzoni folk rock scritte da studente, alle quali la veste sinfonica ha dato nuova luce. Ne è scaturito un concerto variegato e piacevole di circa due ore, in cui Sebalter è apparso molto intonato, preparato, trascinante e in grande forma, nonostante la febbre di pochi giorni fa: pubblico entusiasta e lunghi applausi.