L’intervista

Edgarda Ferri: «Per le donne imperfette il prezzo da pagare è la violenza»

Nell’ultimo libro dell’autrice italiana una rassegna di personaggi femminili anomali che hanno fatto la storia
Un’immagine dal film «Girl» di Lukas Dhont (2018) che racconta la storia di un ragazzo che si evira per diventare donna e trasformarsi in ballerina. © DCM Film Distribution
Carlo Silini
16.11.2019 06:00

C’è la Madonna brutta e c’è Conchita Würst, c’è la regina con un occhio solo e la pittrice che affronta il suo stupratore in un processo del Seicento, spuntandola. Una rassegna di donne anomale, bizzarre, forti e fuori dai ranghi anima l’ultimo libro di Edgarda Ferri. L’abbiamo intervistata.

Edgarda Ferri, partiamo dalla Madonna brutta.

«È la madonna del Santuario di Montevergine a Mercogliano. Una leggenda dice che sant’Anna aveva avuto sette figlie, e tutte e sette erano madonne a cui erano dedicati altrettanti santuari. La settima era brutta, perché nera, come gli schiavi, e quindi era chiamata Mamma Schiavona. Per la vergogna era andata a nascondersi in montagna. Oggi quel luogo è diventato meta di pellegrinaggio per gli omosessuali, perché ‘Mamma Schiavona tutto comprende e tutto perdona’. Volevo raccontare la violenza della cultura nei confronti delle donne brutte. Adesso le donne brutte hanno una chance in più attraverso la chirurgia estetica o l’intelligenza, non si nascondono più ma si abbelliscono».

È interessante la storia della donna barbuta che faceva parte del circo Barnum, quello dove si esibivano fenomeni come persone altissime, nani eccetera... Il suo però è un circo Barnum alla rovescia. Chi sono i veri mostri? Le persone anomale che ne facevano parte o quelle normali che andavano a vederle?

«È la storia di Annie Jones (nella foto sopra). Mi sono documentata sulle donne barbute, parecchie delle quali erano esibite nei circhi, ma le loro sono quasi tutte storie banalissime. In Annie Jones ho trovato una caratteristica molto importante, perché a un certo punto è diventata promotrice della campagna per l’abolizione del termine ‘mostro’, finendo col dire: poteva capitare anche a voi e a volte i mostri sono le persone normali. Mi sembra un discorso politico interessante».

Tra tante donne imperfette lei ne racconta una perfetta, Nefertiti.

«Sì, ma nel suo celeberrimo busto, quello che ha fatto parlare di lei come della donna più bella del mondo, manca un occhio. La vita di Nefertiti (nella foto sotto il celebre busto che la ritrae) è molto brillante nella prima parte, ma poi c’è una svolta. In tutte le effigi il suo nome viene martellato via, così come nei cartigli viene cancellato per ordine del figlio che ristabilisce la religione classica che Nefertiti e suo marito avevano abbandonato a favore di un nuovo tipo di culto. Viene distrutta da un punto di vista dell’immagine, e viene emarginata. Muore da sola, esiliata. Ma la storia che volevo raccontare è un’altra: quella del declino di una donna bellissima e amatissima. Di lei rimane il busto fatto da Thutmose, capo degli scultori di corte, che nel mio racconto parla in prima persona, lasciando il mistero sul fatto che l’occhio sinistro non è mai stato scolpito. Eppure, nonostante questa inspiegabile mancanza, passa per l’opera d’arte che rappresenta la donna più bella del mondo. È la rivincita della monocola: l’intelligenza, il fascino e la grazia di Nefertiti suppliscono anche alla mancanza di un occhio. Sono andata a vedere il busto a Berlino varie volte e ho provato a immaginarla con i due occhi, ma non sarebbe stata così magica».

Lei affronta il tema dello stupro nella vicenda della pittrice Artemisia Gentileschi, violentata.

«Quella di Artemisia, per quanto si sappia, è stata l’unica accusa di stupro pubblicamente esposta a quei tempi (inizio del Seicento, ndr) e diventata oggetto di processo. Allora le donne venivano stuprate molto facilmente, ma tutte tacevano, come molte fanno ancora oggi del resto. Durante il processo, che ho letto per intero ed è molto bello, lei dice per esempio che anche suo padre la usava come moglie e un testimone dice che in realtà non era un incesto perché il vero padre era un altro. La ragazza aveva già avuto delle vicende ed era di suo molto disincantata e intraprendente. È un processo di grande modernità».

Perché?

«Perché, mentre lo leggevo, l’ho trovato identico in certe parti a quello di qualche anno fa intentato contro due carabinieri di Firenze che avevano stuprato due studentesse americane ubriache. Alcuni particolari sono identici. I giudici che chiedono, ad esempio, se aveva le mutande o non le aveva. Che è un modo di violentare la donna due volte. Sono dinamiche che partono anche oggi soprattutto quando le protagoniste sono ragazze che non sono le classiche brave ragazze, ma ragazze che hanno già avuto storie con altri uomini. Non ti credono oppure, come dicono adesso, te la sei andata a cercare».

Sotto: Giuditta e Oloferne, una tavola magnifica e violenta di Artemisia Gentileschi.

Ci sono delle storie estreme, come quella di Victor che si evira per diventare la ballerina Lara. Una trasformazione dolorosissima.

«Anche questa è una violenza. C’è un uomo che si sente donna e deve infliggere al proprio corpo una violenza operata coi coltelli o con gli ormoni. Il caso di Victor (che riprende la storia raccontata nel film Girl di Lukas Dhont, girato in olandese nel 2018, premio speciale Un Certain Regard, ispirato a una storia vera accaduta in Germania, ndr) assomiglia a quello di molti trasgender. Leggo spesso di casi di ragazzi che per la voglia e l’impellenza di curarsi da soli ingurgitano troppi ormoni. E se vuoi andare per le vie ‘normali’ devi subire altrettante violenze sul tuo corpo che non è il corpo che ti senti addosso».

Un capitolo è dedicato a Thomas Neuwirth, il cantante omosessuale che si esibisce in vesti femminili ma con la barba noto col nome d’arte Conchita Würst. Lei scrive: che «volendo scendere nel pecoreccio, in gergo spagnolo conchita sta per vagina; mentre, per i tedeschi e i poliglotti sboccati, Wurst sta per pene».

«Quella di Conchita è una storia abbastanza nota che fra i miei lettori è molto apprezzata dagli uomini. È molto divertente questo ragazzo omosessuale che si veste da donna solo in pubblico. Mi piacerebbe sapere se quando è nella sua intimità si mette le vestaglie con le piume o rimane in jeans».

Quasi tutte le storie che lei racconta hanno a che fare col corpo delle donne. Ma nell’ultimo capitolo, dove parla del quadro di Courbet L’origine del mondo (sotto), dove si mostra la natura intima di una donna, propone una sua versione del monologo della vagina.

«Avevo letto per caso la vicenda di uno studioso francese di Victor Hugo, che ha trovato una lettera che Hugo aveva scritto a George Sand nominando il nome della modella che aveva posato per Courbet (Constance Queniault, ndr). Tutti pensavano che a posare fosse stata un’altra donna, non questa prostituta diventata nel frattempo ricchissima e generosa con le persone bisognose che nascose il segreto fino alla morte. Una storia che chiude il cerchio iniziato all’inizio del libro con la storia di Giacoma Fioroni (una donna con le parti intime maschili a cui all’inizio dell’800, dopo essere stata visitata, viene impedito di sposarsi per la sua difformità, ndr)».

Perché?

«Perché la Fioroni era una povera contadina che è stata rovesciata su un tavolo e rovistata da sei uomini, sei scienziati che sono andati a studiarla. È stata messa nella stessa posa che si vede nel quadro L’origine del mondo di Courbet. Il primo racconto riprende i testi dei ricercatori di allora con un freddo tono da rivista scientifica, l’ultimo è molto più scanzonato. L’obiettivo del libro, in conclusione, era raccontare come le donne – anche gli uomini, anche i bambini e anche i vecchi – ma io ho scelto le donne, subiscono un certo tipo di violenza quando sono diverse. È il prezzo che tu paghi quando sei diversa. Un prezzo che si paga a volte fisicamente, a volte moralmente».

Per esempio?

«Per esempio, nel caso di Lucia Sabbioni, la donna sopravvissuta all’eccidio nazista di Marzabotto (un insieme di stragi compiute dalle truppe nazifasciste in Italia tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944 in provincia di Bologna con un computo finale di 1830 vittime, ndr). Quando si trattò di votare sulla richiesta di scarcerazione del boia tedesco, Reder, disse: ‘Mi sono stancata di pensare a Reder. Se è per me, che vada via il più presto possibile. Anche domani. Così non ci pensiamo più’. E per questa ragione lei, che aveva perso la sua famiglia in quella strage, venne bandita dal paese. Una storia che mi aveva raccontato in prima persona molti anni fa, quando ho scritto il libro Il perdono e la memoria. È importante notare che la sua scelta non è da considerare un perdono, ma la voglia di dimenticare cose che ti faranno sempre molto male. È lo scotto che paga chi si permette di uscire dalle regole».

Il libro
Nel libro di Edgarda Ferri (nella foto sopra) Ballata delle donne imperfette (La Tartaruga, Baldini+Castoldi e La nave di Teseo, Milano 2019) una rassegna di figure femminili ostinate e luminose. Da Artemisia Gentileschi chesenza vergogna denunciò il pittore Agostino Tassi perché colpevole di averla violentata ad Antigone che sfidò la legge degli uomini per seppellire il fratello Polinice, accusato di tradimento. Da Constance Quéniaux, ballerina all’Opéra di Parigi, che offrì a Courbet il suo dettaglio più intimo perché dipingesse L’origine del mondo, alla regina Nefertiti. Da Dorotea Gonzaga e la sua sventurata gobba e Annie Jones, la donna barbuta a Thomas Neuwirth, notocome Conchita Wurst.

L’autrice
Edgarda Ferri è scrittrice, saggista, giornalista e ha all’attivo numerose biografie, tra cui quelle di grandi donne come Maria Teresa d’Austria e Matilde di Canossa, di artisti come Piero della Francesca, di condottieri e architetti come Vespasiano Gonzaga. Si è occupata di storia contemporanea e di Klimt. Nel 2017 è uscito per La nave di Teseo Un gomitolo aggrovigliato è il mio cuore. Vita di Etty Hillesum. Collabora con «Corriere della Sera».