Elisa: «Sono le emozioni a guidare la mia musica»

Il suo tour 2019, iniziato nei palazzetti e proseguito in versione «open air» è tra quelli di maggiore successo della corrente stagione. E sue produzioni discografiche (come il recentissimo singolo Birds, cantato assieme agli Imagine Dragons) vanno a gonfie vele. È insomma un periodo felice quello che sta attraversando la cantautrice friulana Elisa che tra una quindicina di giorni (venerdì 26 luglio) sarà protagonista a Bellinzona della rassegna Castle On Air (prevendite su www.mediatickets.ch) dove si esibirà nell’ambito di un ciclo di concerti su importanti palcoscenici internazionali in Germania, Scandinavia e Inghilterra. L’abbiamo incontrata.
Quello di quest’anno a Bellinzona per lei è un ritorno nella capitale ticinese dopo che, nel lontano 1998 al Rock Kingdom, vi effettuò uno dei suoi primi concerti internazionali. Ricorda qualcosa di quell’evento e cosa è cambiato da allora?
«Ricordo il festival e ricordo che c’era un cast davvero di grande livello. Cosa è cambiato? Beh tante cose visto che sono passati più di due decenni, ho inciso tanti dischi, suonato in molti luoghi e maturato tante esperienze. Quello che invece non è cambiato è il mio modo di affrontare la musica: con entusiasmo, uno spirito curioso e propositivo».
E stilisticamente? All’inizio la sua produzione era orientata verso il rock mentre in seguito è diventata più pop»...
«Ho delle riserve su questo tipo di analisi. Perché rock poteva essere in parte considerato il mio atteggiamento, un po’ meno la musica. Se infatti proviamo ad analizzare il primo album, di rock ce n’era poco, eccezione forse per il brano Cure me. Per il resto c’erano un sacco di loop, di tastiere... Sin da allora insomma facevo un pop molto pronunciato».
È comunque indubbio che nel corso degli anni la sua musica abbia allargato gli orizzonti: guidata da quale strategia?
«Non ho mai avuto particolari strategie. Mi piacciono infatti gli stili più diversi, sono sempre stata onnivora nei miei ascolti, che vanno dai Peal Jam a Etta James alle più innovative tendenze anglosassoni. E questo chiaramente di riflette anche in quello che scrivo, che dunque stilisticamente finisce per essere un ibrido. Alla base del quale c’è l’emotività (quello che mi riesce meglio è infatti scrivere canzoni che toccano le corde dell’emozione) che poi si specchia in soluzioni stilistiche diverse tra loro e che mutano nel tempo perché anch’io, come tutti, negli anni sono cambiata e, in generale, è cambiata la musica».



Non sono invece cambiati i suoi testi che continua a proporre alternando l’italiano all’inglese.
«Anche in questo caso si tratta di lasciarsi guidare dai sentimenti. E in questo campo, lo ammetto, spesso sono combattuta su quale lingua scegliere per esprimermi. Se dovessi fare dei calcoli meramente razionali e commerciali, credo che l’inglese lo abbandonerei. Ma come detto c’è un qualcosa di più profondo e interiore a guidare le mie scelte. Ecco, diciamo che questo ciclo di concerti al di fuori dell’Italia rappresenta una sorta di verifica in quest’ambito: un momento per capire se l’esprimermi in inglese è ancora importante per me, se mi interessa ancora. Perché alla base di tutto deve esserci l’emozione: se questa viene meno, cade tutto, indipendentemente da eventuali ragioni di marketing o commerciali».
Lo stesso vale per le collaborazioni, i duetti, nei quali si è molto impegnata negli anni?
«Certamente. Se nel mondo del pop, soprattutto negli ultimi anni, molte collaborazioni sono studiate a tavolino per ragioni di cassetta, per me la cosa parte da presupposti completamente diversi. Ogni collaborazione, infatti, è prima di tutto uno scambio umano, artistico che talvolta esula dalla razionalità. Nel bene e nel male. Ma che faccio e spero di poter continuare a fare a lungo perché si tratta di un elemento indispensabile del mio essere artista. È solo attraverso il dialogo, gli spunti che ti possono venire con il confronto e la collaborazione, che si può proseguire e andare avanti. E di spunti la musica d’oggi ne regala davvero tanti...»
Dunque le piace la musica di oggi?
«Certamente. Trovo che negli ultimi anni ci sia stato un risveglio fantastico. Un interessantissimo rimescolamento di stili. Che si è verificato sia in America sia in Inghilterra e in altri Paesi, Italia compresa. Trovo che il pop contemporaneo sia pervaso da un’ondata di libertà stimolante anche per le generazioni non più così giovani, come la mia. Artisti come Kendirck Lamar in America, Calcutta e Giorgio Poi in Italia (tanto per citare alcuni di quelli che mi piacciono particolarmente) hanno miscelato gli ingredienti in modo interessante».
Un’ultima annotazione sul concerto che terrà a Bellinzona.
«Sarà un concerto “verticale”, in crescendo, con una prima parte molto d’ascolto, cantautorale e la seconda che invece si accenderà parecchio trasformandosi in un’esperienza collettiva cui il pubblico sarà chiamato a partecipare attivamente. Personalmente reputo questo giro di concerti il più bello fatto finora proprio perché mi sta regalando una risposta da parte del pubblico che non ho mai avuto in precedenza. E che mi auguro ci sia anche a Bellinzona».