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Fenomenologia dei Maneskin

Da Sanremo all’Eurosong e, oggi, a Las Vegas assieme ai Rolling Stones: l’ascesa della giovane band italiana nell’empireo del rock sembra senza fine - Ma si tratta di un vero exploit, di un autentico fenomeno artistico o semplicemente di un’azzeccata operazione commerciale?
© Instagram/Maneskin
Red. Online
06.11.2021 06:00

Nuovo grande fenomeno della musica mondiale oppure, riprendendo il titolo di un vecchio film di Julian Temple, The Great Rock’n’Roll Swindle (La grande truffa del rock & roll)? La domanda è più che mai legittima parlando dei Måneskin, la giovane rock band italiana che oggi salirà sul palco dell’Allegiant Stadium di Las Vegas, in Nevada, per aprire un concerto dei Rolling Stones a conclusione di una campagna promozionale che ha pochi precedenti - specie per un ensemble italiano - condotta negli States. Perché, in effetti, quanto sta accadendo ai quattro ragazzi romani è decisamente insolito anche per un mondo strano quale quello della musica.

Superstar per caso

Balzata alla grande notorietà quasi per caso lo scorso febbraio a Sanremo dove si è aggiudicata la vittoria più che per propri meriti per una favorevole combinazione (nel tentativo di arginare il plebiscito del Televoto a favore del non amatissimo Fedez, a discapito del favorito Ermal Meta, la Giuria di Qualità dirottò i propri voti sull’anello più debole del trio di finalisti, i Måneskin appunto, ottenendo l’effetto non programmato di farli trionfare), la band ha poi iniziato la propria scalata internazionale. Lo ha fatto grazie al forte sostegno del colosso dello streaming Spotify che li ha sponsorizzati spingendoli in modo massiccio dapprima sul fronte europeo (campagna culminata con un altro inatteso -alla vigilia - successo all’Eurosong) per poi imbastire una campagna promozionale senza precedenti in America grazie alla quale sono entrati nel «salotto» tv di Jimmy Fallon, hanno tenuto un paio di showcase (come non definire altrimenti i due spettacoli di New York e Los Angeles in piccoli club e con un pubblico quasi completamente composto da invitati), fatto alcune apparizioni in luoghi «trendy» fino a ritrovarsi appunto sullo stesso palco degli Stones. Tutte situazioni che, al di là delle apparenze e di come vengono vendute sulla stampa soprattutto italiana (che ha trasformato la band in una sorta di nazionale della canzone con il relativo corredo di tifo), non hanno alcunché di meritocratico, come ben sa chi bazzica nella musica. In certi contesti, infatti, ci vai solo se paghi, così come a fare da «apripista» ai grandi nomi ci arrivi solo se, come si diceva negli scorsi decenni, hai i soldi per assicurarti un posto sul bus della star, che non ha certo bisogno della tua presenza per richiamare il pubblico e che ovviamente pretende qualcosa per il fatto di offrirti un gigantesco spot promozionale.

Un potentissimo sponsor

E che che questa ondata di notorietà sia un qualcosa legato esclusivamente al lavoro svolto da Spotify lo confermano parecchi elementi: anzitutto il fatto che i due brand (Måneskin e quello del colosso dello streaming) siano sempre associati; che i presunti record collezionati dalla band facciano riferimento unicamente a quella piattaforma (nelle classifiche degli altri distributori di musica digitale, da Apple Music a Deezer a YouTube, la band non rientra in alcuna Top Ten se non a livello locale) e, cosa più importante, che questa popolarità sia unicamente virtuale. Salvo l’esibizione all’Eurosong e qualche comparsata televisiva o promozionale, i Måneskin, infatti, dall’inizio della loro scalata ai vertici musicali del pianeta, di veri concerti e di veri confronti con le platee al di fuori della loro «comfort zone» non ne hanno avuti visto che, causa pandemia, i grandi concerti non sono ancora ripresi. Il loro successo è insomma legato quasi totalmente ai social, allo streaming e agli algoritmi che li regolano e che, ormai lo sappiamo tutti, non sono indice di limpidezza e di imparzialità.

Ma non sono una bufala

Ciò non significa, tuttavia, che i Måneskin siano una bufala: in tempi ancora non sospetti, dopo una loro trascinante performance a Castle on Air a Bellinzona, anche chi scrive, proprio su questo giornale, parlò di una band interessante, forse un po’ acerba e non particolarmente originale ma capace di tenere la scena e dalle buone potenzialità - cosa che i quattro ragazzotti romani hanno dimostrato di fare anche sotto riflettori più importanti. Tuttavia da lì a definirli il futuro del rock o più popolari dei Beatles, come certa stampa italiana sta facendo, beh, ci sembra decisamente esagerato (alla luce anche del fatto che, da allora, cose nuove ed eclatanti non le hanno fatte). E anche pericoloso per il futuro, artistico e personale, della band. Già, perché prima o poi il pubblico dopo i tanti spot pretenderà di verificare davvero le sue potenzialità con produzioni discografiche e spettacoli il cui impianto e la cui sostanza siano all’altezza delle aspettative che su un gruppo sostanzialmente ancora acerbo sul fronte planetario rischiano di creare una pressione non facile da sostenere e in grado di far vacillare quell’alto piedistallo sul quale sono stati issati e dal quale un’eventuale caduta può essere dolorosa e vanificatrice di quel discreto talento del quale i ragazzi non difettano.