Cultura

Franz Gertsch, da una gita sul Monte Lema opere consegnate all'immortalità

Il pittore svizzero, scomparso mercoledì, raccontato dal direttore del Masi Tobia Bezzola: «Un viaggio in Ticino determinante nel suo percorso artistico»
@ Keystone
Mattia Sacchi
24.12.2022 21:48

«Ho parlato con la moglie, che mi ha mostrato i suoi ultimi progetti. Fino a due settimane fa ha lavorato, poi è andato via senza soffrire. Questa in fondo è una piccola consolazione». È commosso Tobia Bezzola nel ricordare Franz Gertsch, scomparso mercoledì scorso a 92 anni. Il direttore del Masi e il grande artista, uno dei più rilevanti dello scorso secolo, avevano un rapporto di lunga data. «Addirittura i nostri genitori si conoscevano: lui era il classico bernese, cordiale ma di poche parole, serio e riservato. L'ultima volta che l'ho visto è stato lo scorso ottobre, ma comunque ci sentivamo spesso. Era totalmente concentrato sul suo lavoro, tanto che si era creato un mondo tutto suo, nel quale sia sua moglie sia i figli lo hanno aiutato nei suoi progetti. In un certo senso è come se avesse creato un'azienda familiare, dove lui lavorava come un vero e proprio operaio, ogni giorno per tutto il giorno».

Un'azienda di enorme valore, vista l'importanza delle sue opere: «Non ne ha realizzate tantissime, anche perché il processo di creazione era particolarmente lungo: per realizzarle ci metteva oltre un anno, ma la loro importanza è pari a quella di illustri connazionali come Ferdinand Hodler o Alberto Giacometti. Era maniacale nella scelta dei materiali, come le carte speciali che faceva arrivare dal Giappone, e nelle tecniche nelle quali la fotografia diventava un'opera pittorica che, grazie alle generose dimensioni e ai grandi spazi allestiti, si muoveva, cambiando la realtà e la percezione. Opere che oggi possiamo vedere nel museo a lui dedicato a Burgdorf, al Kunstmuseum di Berna e anche qui in Ticino, in collezioni importantissime».

E proprio con il nostro Cantone Gertsch aveva un rapporto particolare: «Una gita sul Monte Lema è stata per lui come una vera e propria epifania. Era il 1970 e quel viaggio gli fece venire voglia di sperimentare quella metodologia di riprodurre la natura che poi ha determinato i suoi lavori ed è diventata la sua cifra stilistica. Da notare che all'epoca aveva già 40 anni: il suo percorso artistico è stato particolarmente lungo e ragionato prima di capire quello che voleva davvero fare».

© Keystone
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Il Ticino è stato ricorrente nella vita del pittore bernese anche dopo quel viaggio sulle vette malcantonesi. Come nel 2019 quando, nella mostra «Cut in wood» al Museo d'arte della Svizzera Italiana di Lugano, era stato accostato a grandissimi dell'arte mondiale come Edvard Munch e Paul Gauguin dallo stesso Bezzola: «Nonostante la distanza storica e le differenze stilistiche, i tre artisti rivelano profonde e inaspettate affinità, che oltrepassano la sola condivisione della tecnica. La coesistenza di malinconia ed eros, una concezione mistica del paesaggio, la generale sensazione di solitudine ed estraneità dell’artista verso la società e la natura sono i tre motivi principali che accomunano la loro opera. Ma soprattutto, la capacità di utilizzare tecniche fuori dal tempo, che li rendono attuali ancora oggi».

Talmente attuali da attirare ancora oggi l'attenzione dei giovani artisti: «Assolutamente. Molti ragazzi stanno scoprendo in questo periodo le opere di Gerscht, che mantengono intatte la loro bellezza e il loro fascino, affrontando temi universali che possono essere accolti da ogni osservatore senza bisogno di grandi spiegazioni. Non è un caso che proprio in questi mesi sono in fase di sviluppo molte mostre dedicate a lui, di cui una molto importante a New York. L'uomo è scomparso, ma la sua arte vivrà ancora a lungo e continuerà a divulgarsi tra le nuove generazioni».

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