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Gender reveal party, tra moda e politicamente corretto

L'influencer Chiara Nasti ha rivelato il sesso del bambino al compagno e calciatore Mattia Zaccagni all'interno dello Stadio Olimpico di Roma, affittato per l'evento
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Stefano Olivari
22.05.2022 14:02

La Lazio ha conquistato la qualificazione all’Europa League, ma da giorni non si parla d’altro che del gender reveal party con cui Chiara Nasti mercoledì scorso ha rivelato al compagno Mattia Zaccagni e al resto del mondo il sesso del loro bambino. Così tutti, ma proprio tutti, hanno scoperto questa ennesima moda importata dagli Stati Uniti e dilagante in tutta Europa.

Il potere dei social

Lo show della coppia Nasti-Zaccagni, lei influencer da oltre 2 milioni di follower su Instagram e lui uno dei migliori giocatori della Lazio di Sarri, sembrava fatto apposta per attirarsi le critiche del conformista popolo del web, quello del genere «Signora mia, che tempi» anche se magari è composto da ventenni, ed in effetti le accuse di trash non sono mancate. Ma l’effetto desiderato era proprio questo, se no chi mai ne avrebbe parlato? Semmai è notevole il fatto che lo Stadio Olimpico di Roma, di proprietà del CONI, sia stato affittato per una cosa simile. Fra un po’ ci faranno i matrimoni, magari, come nei castelli dei nobili decaduti. Ma al di là di queste considerazioni para-calcistiche, del gol a porta vuota di Zaccagni che ha fatto partire l’esplosione di coriandoli azzurri e del sesso del nascituro (maschio), la Nasti da brava influencer ha intercettato e reso pop una tendenza già in essere.

La prima è stata Bianca

La storia del gender reveal party è tutt’altro che antica, anzi non è nemmeno una storia visto che è iniziata nel 2008 grazie ad una blogger statunitense, Jenna Karvunidis, che iniziò a postare su YouTube video in cui attraverso torte e altri dolci rivelava ad amici e follower il sesso del bambino che stava aspettando. Nel suo caso una bambina, Bianca. Senza un vero perché, come quasi tutti i tormentoni web, questi video divennero virali ed iniziarono ad essere imitati e rielaborati, sempre con la chiave dell’esagerazione e dell’ironia: indovinelli, gare fra gli invitati alla festa, fuochi d’artificio, invenzioni di vario tipo, fino al climax del momento dell’annuncio che poi sarebbe il senso di tutto. A volte la situazione scappa di mano, soprattutto nei paesi in cui la vendita di armi è libera, ma in generale il gender reveal party, intorno al quarto mese di gravidanza (ma può essere fatto anche molto più avanti), ha lo scopo di unire un momento importante della vita al divertimento puro e all’esagerazione. Su YouTube si trova davvero di tutto, altro che la torta della blogger o i coriandoli della Nasti.

E il baby shower?

Poche coppie vip dello spettacolo si sono negli ultimi tempi sottratte al gender reveal party, ma è chiaro che la protagonista di queste operazioni sia sempre la donna, nel doppio ruolo di organizzatrice e festeggiata: da Katy Perry a Jessica Alba il web è pieno di foto da cui i sotto-vip e le persone comuni traggono ispirazione. Il grande rivale di questa neo-festa non è quindi un presunto buon gusto, mai esistito nella storia dell’umanità, ma un’altra usanza di importazione, cioè il baby shower. Che è centrata soltanto sulla futura madre, con invitati quasi tutti di sesso femminile anche se qualche sfortunato uomo non manca. Durante il baby shower, che può precedere o seguire il gender reveal party, e che di solito si fa soltanto per il primogenito, la donna incinta viene sommersa di regali e sorprese: certo fra le sorprese non rientra il sesso del bambino, nessuna comunicazione paragonabile alla scritta «It’s a boy!» di Chiara Nasti. Comunque in Europa vince, dal punto di vista quantitativo, il baby shower, che con Chiara Ferragni, in favore di telecamere Amazon per la serie I Ferragnez, ha avuto la sua consacrazione.

Tra genere, sesso, azzurro e rosa

Il gender reveal party ha in definitiva un solo problema, per quanto paradossale: proprio il gender. Perché questa festa, come dicono le statistiche ed anche la semplice visione in sequenza dei video sul tema, è molto amata da coppie eterosessuali della classe media, in prevalenza bianche. Va da sé che la moda, sulla via per diventare tradizione, sia entrata nel mirino del politicamente corretto. Insomma, il genere non è la stessa cosa del sesso e in ogni caso la dicotomia maschio-femmina, palloncini rosa e azzurri compresi, è rifiutata da buona parte dei media progressisti: il livore nei confronti di una festicciola inutile, uno dei mille espedienti per mettersi al centro dell’attenzione, si spiega anche così. Quattro anni fa fece discutere un serioso titolo del New York Times, «Dovremmo andare a un gender reveal party?», e da allora la situazione, come tante altre, si è ancora più polarizzata. Con il ridicolo a trionfare: da una parte chi vede discrminazioni dappertutto, dall’altra chi considera un giochino per il web la sintesi dei presunti valori di una volta.

Dalla glassa rosa agli abiti maschili

Anche per il gender reveal party ci sono i pentiti e la più pentita di tutte è proprio Jenna Karvunidis, la quale ha affermato che se tornasse indietro non posterebbe più i video di quelle torte con la glassa rosa. La blogger è partita dalle esagerazioni, come quelle che hanno portato ad incendi ed altri incidenti, per arrivare all’aspetto ideologico: «Chi se ne frega del sesso del bambino?». E per sottolineare il concetto ha postato foto della figlia Bianca vestita da ragazzo, pare con il suo consenso, e la didascalia: «Il primo bambino al mondo con festa per la rivelazione del sesso è una ragazza che indossa abiti maschili!». Di sicuro non ha fatto gender reveal party per i due figli successivi. Come se ne esce? Non ne usciremo, per lo meno non tanto presto.