L’intervista

Giacomo Poretti: «Voglio far riflettere, con un sorriso sul senso della vita»

Il comico lombardo, storico componente del trio Aldo, Giovanni e Giacomo parla dello spettacolo «Fare un’anima» in scena martedì 15 e mercoledì 16 ottobre al LAC di Lugano
Giacomo Poretti in scena © Photopiù
Red. Online
14.10.2019 19:33

È insolito vedere Giacomo Poretti sulla scena da solo e non affiancato dagli storici partner Aldo e Giovanni. L’occasione è rappresentata da Fare un’anima, monologo con cui il comico lombardo martedì 15 e mercoledì 16 ottobre al LAC di Lugano (ore 20.30) affronta, a modo suo, le grandi domande con cui l’uomo da sempre fa i conti. Ne abbiamo parlato con lui.

Fare un’anima è un titolo allo stesso tempo criptico ed impegnativo per un monologo. Da dove è nata l’idea?
«Tutto è partito quando è nato mio figlio. In quell’occasione venne a trovarci in ospedale un vecchio sacerdote con cui avevamo un rapporto d’amicizia. E che a me e mia moglie ad un certo punto disse: “Avete fatto un corpo, ora dovete farne un’anima”. Di fronte a quelle parole restai basito, sono frasi da immaginetta, pensai. Poi però mi sono interrogato su cosa voleva davvero dire il sacerdote con quella frase. È da lì che tutto si messo in moto».

E cosa è accaduto?
«Mi sono immedesimato nell’uomo medio che vive nel 2019 in un luogo privilegiato del pianeta Terra quale il nostro, al quale al momento della nascita di un figlio viene fatta questa esortazione. Devi fare un anima? Che cosa significa? Del proprio bimbo uno pensa di farne un avvocato, un architetto, un influencer: all’anima non ci pensa proprio. Tanto più in un’epoca come la nostra in cui la tecnologia, gli algoritmi sembrano essere in grado di aiutarci a rendere la vita divertente e realizzata. Ed è proprio partendo da questi ragionamenti che mi sono divertito a passare in rassegna, in modo divertente, tutti i pregiudizi e le convinzioni dell’uomo moderno cercando di smontare i suoi moderni miti».

Le parole sono come le persone: se non le frequenti, non stai un po’ con loro non le pronunci, rischiano di finire la loro vita sui dizionari che sempre più spesso sono i cimiteri delle parole

Con che risultato?
«Far riflettere su interrogativi che tutti, almeno una volta ci siamo posti. Ovvero perché siamo al mondo? Dove andiamo? Chi ci ha messo qui? È stato il Padreterno o il Caso? Domande scomode sul senso della vita che se qualcuno evita, molti invece si pongono, rispondendo poi in vari modi: chi in maniera tragica chi depressiva, comica, entusiastica. Domande che nello spettacolo io ho cercato di affrontare usando il linguaggio della comicità».

Una comicità che da trent’anni lei propone all’interno di un trio collaudatissimo. Che effetto fa ritrovarsi sul palco da solo?
«All’inizio avevo qualche timore. Poi però, grazie all’affetto che il pubblico prova per il nostro trio, è stato più facile del previsto. Anche perché sebbene l’argomento e l’approfondimento di certe tematiche è un po’ più poetico, meditativo e spirituale, Fare un’anima resta uno spettacolo che fa ridere, diverte. E nel quale pongo l’accento anche su un altro elemento».

Quale?
«L’utilizzo davvero eccessivo dell’inglese, che pare essere uno dei grandi capisaldi della modernità. Tanto che molte parole che escono dalla nostra bocca e che utilizziamo sono in questa lingua. E riflettendo su ciò mi sono chiesto: vuoi vedere che la parola “anima” – alla stregua di molte altre – rischia di essere dimenticata proprio perché non più usata? Perché le parole, se ci pensate, sono come le persone: se non le frequenti, non stai un po’ con loro non le pronunci, rischiano di finire la loro vita sui dizionari che sempre più spesso sono i cimiteri delle parole. L’altro quesito che pongo nello spettacolo è dunque: possiamo fare a meno di certe parole e di conseguenza dei concetti ad esse legati?»

Io Aldo e Giovanni facciamo una comicità dai tratti visionari, fantastici e fantasiosi che ha origine in quella di Stanlio e Ollio, Buster Keaton, Chaplin

Torniamo all’argomento comicità. Dall’alto della sua trentennale esperienza come giudica il panorama attuale: soddisfacente, deludente, statico...
«È una domanda a cui fatico a rispondere in quanto rischierei di apparire antipatico. Perché come tutti gli “anziani” che hanno avuto una vita soddisfacente, – ed io, professionalmente, posso ammettere di avere avuto una carriera molto soddisfacente – il primo istinto è pensare che la tua sia stata l’età dell’oro mentre adesso... Quello che posso dire che la comicità negli ultimi anni è cambiata anche perché i luoghi dove si esprime sono diversi, legati essenzialmente ad internet mentre in precedenza si esprimeva a teatro, nei locali, alla tv generalista. E di conseguenza sono cambiati i generi. Se posso esprimere un parere direi che trovo la comicità attuale un po’ troppo cinica. Al contrario della nostra che è sempre stata impostata come un gioco. Quella che io, Aldo e Giovanni prediligiamo è una comicità dai tratti visionari, fantastici e fantasiosi che ha le origini in quella di Stanlio e Ollio, Buster Keaton, Chaplin. Ecco, noi siamo parenti lontani di questi grandi geni: non ci ha mai interessato né il cinismo né la satira bensì il rapporto tra le persone impostato in maniera giocosa».

Dalle sue parole emerge che, nonostante questa sua avventura da «solista», continuerà l’avventura dei trio Aldo, Giovanni e Giacomo?
«Certamente. Al di là del fatto che dopo così tanti anni assieme ognuno di noi ha bisogno anche di spazi propri, di fare nuove esperienze (io in teatro con la pièce che vedrete a Lugano ma anche con un nuovo spettacolo realizzato assieme a mia moglie e intitolato Litigar danzando; Giovanni scrivendo libri, Aldo invece ha fatto un film tutto suo...) il lavoro assieme continua. Abbiamo infatti appena finito di girare un nuovo film, che si intitola Io odio l’estate e che uscirà il 30 gennaio: per una volta dopo oltre vent’anni abbiamo infatti rinunciato a presentarci durante il periodo natalizio preferendo metterci in coda».