Musica

Giangilberto Monti: «È durante i tempi strani che nascono nuove idee»

Nostra intervista al cantautore, attore e scrittore milanese che con l’album «Temoi strani» sottolinea un anniversario singolare: 44 anni di carriera
Red. Online
12.04.2021 21:57

Che Giangilberto Monti sia un artista originale lo abbiamo imparato da tempo: cantautore pop nei primi anni Ottanta, ha lasciato quel mondo a favore del teatro-cabaret, diventando in seguito pure un apprezzato storico della canzone d’autore nonché un brillante autore di testi, anche radiofonici. Prima di tornare alla discografia con un album, Tempi strani, con cui rimarcare un anniversario insolito:
44 anni di carriera.

Partiamo proprio da questo singolare anniversario: 44 anni di carriera: perché sottolinearlo?

«Per mantenere un po’ di autoironia: sono infatti convinto che anche in tema di ricorrenze, prendersi troppo sul serio faccia male. Ma anche perché questi Tempi strani che stiamo vivendo, cadono appunto 44 anni dopo la firma del mio primo contratto discografico che mi fece entrare dalla porta principali in un mondo che mi ha dato molto e che nel disco provo a raccontare con una decina di canzoni e un booklet ricco di storie, aneddoti, retroscena, situazioni curiose: un riassunto della mia vita artistica dal punto di vista discografico».

Dunque non si tratta del classico greatest hits.

«No. Tempi strani è un disco antologico nel quale non ci sono i pezzi necessariamente più famosi del mio repertorio, ma che rappresentano le principali tappe del viaggio che ho compiuto nella musica, un viaggio fatto di interessanti incroci professionali: si va dalla PFM a Dario Fo, da Mia Martini a Leo Ferré. E che ho costruito come un live: il disco è stato infatti registrato in diretta durante uno show a Radio Popolare poco prima della pandemia e che durante il lockdown abbiamo poi remixato. Il risultato è una via di mezzo tra il disco live e quello registrato in studio. Nel quale ho mischiato mondi affini, jazz,blues, canzone d’autore e cabaret».

La copertina dell’album «Tempi strani» (Sony Music)
La copertina dell’album «Tempi strani» (Sony Music)

Un mix che è poi il sunto della sua carriera nella quale c’è di tutto. Anche scelte spiazzanti, come abbandonare una scena pop che stava dandole tante soddisfazioni per un teatro-cabaret di nicchia...

«Quando negli anni ‘80 dopo qualche stagione ad alto livelli – ero in finale al Disco per l’estate a Saint Vincent e reduce da un fortunato tour con il Banco – decisi di lasciare il mondo del pop, lo feci perché capii di aver bisogno di cambiare. Sentivo che lì non sarei riuscito a fare ciò che volevo, ossia incrociare le arti, sperimentare. E così mi sono legato al teatro-cabaret, ho mischiato varie anime espressive. Poi ho iniziato a scrivere: per vari comici, per la radio ma anche libri dopo essere andato alla ricerca delle radici del cantautorato italiano che ho trovato nella canzone francese. In seguito sono tornato alle mie radici più milanesi lavorando con Dario Fo e riprendendo il suo repertorio musicale, per poi finalmente, riprendere anche le mie canzoni. Un percorso variegato che in altri Paesi sarebbe risultato naturale mentre invece in Italia è stato più difficile in quanto siamo abituati a divisioni ferree tra i vari ruoli artistici».

Ha citato la canzone francese come la radice del cantautorato italiano: può spiegarsi meglio?

«Beh, è un dato di fatto che i primi cantautori italiani negli anni Sessanta, i genovesi in primis, abbiano attinto all’esperienza dei vari Brassens, Brel, Boris Vian... E questo perché in Francia la teatralizzazione della canzone, la capacità di trasmettere in modo totale la musica e l’arte ha origini più antiche. Quel fiorire di movimenti artistici verificatosi in Francia alla fine dell’Ottocento e poi a cavallo tra le due guerre, da noi è arrivato con un ventennio di ritardo, sia con il fenomeno dei cantautori, sia con forme di teatro quali quelle portate alla ribalta da Dario Fo».

Un personaggio a cui lei è particolarmente legato. Perché?

«Perché lavorare con lui è stato essenziale. Osservare ciò che faceva con incredibile naturalezza è stata una scuola straordinaria: anche se lui direttamente non insegnava nulla. Ma bastava stare al suo fianco per capire cosa fare e come farlo. È strano da spiegare ma con Dario funzionava così. Era una persona che sapeva cogliere l’essenza del momento, nella fattispecie di un periodo di grandi cambiamenti quali gli anni Sessanta e Settanta».

Ho sempre voluto incrociare le arti, sperimentare, anche a costo di lasciare posizioni comode, consolidate

Anche quello che stiamo vivendo è un momento di grandi cambiamenti: ritiene che possa essere foriero di nuove esperienze e nuove figure di spessore sul fronte artistico?

«Credo proprio di sì: quello che stiamo vivendo è un passaggio storico delicato. È in atto una grande rivoluzione tecnologica che la pandemia – che ci ha costretto a rivedere molti nostri valori e priorità – ha accelerato. Ed è in questi periodi difficili che storicamente vengono fuori i talenti che riescono ad incarnare in quello che fanno il senso comune».

E l’artista Giangilberto Monti come lo vede in questo quadro?

«Come uno che ha tanta voglia di fare e con molti progetti in cantiere. Oltre a questo nuovo disco, ho appena ultimato un paio di programmi radiofonici per la RSI che andranno in onda tra poco. Ad ottobre uscirà poi un libro dedicato al grande comico francese Coluche. Inoltre spero al più presto di portare in giro lo spettacolo legato a Tempi strani. Ma vorrei anche continuare a scrivere canzoni, a comunicare e a trovare cose nuove perché la curiosità non muore mai».