L'intervista

Giona Nazzaro: «Ma il festival moderno è nato a Locarno»

Al suo secondo anno alla guida del Locarno Film Festival, il direttore artistico confessa di non essersi fermato mai dalla fine dell’edizione 2021
Antonio Mariotti
03.08.2022 06:00

Al suo secondo anno alla guida di Locarno, Giona Nazzaro confessa di non essersi fermato mai dalla fine dell’edizione 2021, conscio che l’anno del 75. sia fondamentale per il futuro del Festival. Prendendo spunto dal programma di Piazza Grande, abbiamo così abbordato anche aspetti più generali.

In Piazza spiccano due produzioni degli studios USA Sony (Bullett Train e La ragazza della palude) che - al contrario di quanto accaduto di regola negli ultimi anni con l’eccezione di Harrison Ford e Daniel Craig presenti alla proiezione di Cowboys & Aliens nel non troppo lontano 2011 - saranno accompagnati da due attori emergenti che riceveranno dei premi importanti (Aaron Taylor-Johnson e Daisy Edgar-Jones). È un’operazione importante per Locarno?

«Sì, oggi, una delle questioni principali che ci troviamo ad affrontare come “industria del cinema” di cui il Festival è parte integrante, è ovviamente la progressiva perdita di pubblico nel circuito delle sale. Quindi, unendo il mio amore per il cinema americano con la necessità di far capire allo spettatore che magari a Locarno non viene, che il Festival è un luogo dove il gusto del pubblico è rappresentato, ho pensato che era giunto il momento di dare un segnale in questo senso. In Svizzera le uscite estive si sono molto diradate e ciò ci ha permesso, in maniera abbastanza sorprendente, di programmare questi due film in prima internazionale o europea a un festival, agganciandoci direttamente alla loro uscita nelle sale straniere. Mi è sembrata un’occasione da non perdere, anche perché il cinema senza il pubblico non può esistere. Non credo nell’elitarismo ma ciò non significa giocare al ribasso o al compromesso: semplicemente la Piazza contiene fino a 8.000 persone e quindi vanno fatti dei ragionamenti per cercare di riempirla. E non è una mia invenzione ma qualcosa che ha inventato Locarno negli anni Novanta, quando ci si è posti il problema dei nuovi pubblici che venivano al Festival e della loro coesistenza con il pubblico tradizionale. È a Locarno che è nato il festival moderno, quello che ha iniziato a ragionare sulla diversificazione dei linguaggi e dei supporti. Quello che facciamo oggi è quindi muoverci in continuità con questo modello nato per una Piazza Grande che in quel periodo ha accolto film come Speed o Men in Black tanto per citare due titoli. Trovo giusto recuperare la dimensione di festa e non vedo nulla di male nel fatto che il pubblico sia contento di scoprire sotto le stelle un film dove ci si diverte, ma si salta anche sulla sedia dallo spavento. È questa dimensione intima e insieme collettiva a fare la forza di un festival».

Brad Pitt avrebbe potuto esserci stasera in Piazza Grande se ci fossimo spostati indietro di due settimane e mezzo

Ma allora per il film inaugurale di stasera mancherebbe solo la presenza del protagonista: Brad Pitt. Avete provato a invitarlo?

«La possibilità di avere Brad Pitt a Locarno non c’è mai stata, anche se ha fatto un breve tour promozionale per il film a luglio. Se il Festival si fosse spostato indietro di due settimane e mezzo, probabilmente saremmo riusciti ad averlo. I movimenti di questi personaggi sono calibrati al millimetro, ma per noi premiare un interprete giovane ma già di grandissimo spessore come Aaron Taylor-Johnson e una giovanissima attrice come Daisy Edgar-Jones significa rivolgerci anche a un tipo di pubblico che non è quello dei cinefili tradizionali a cui probabilmente questi nomi non diranno molto. Nel caso di Daisy però per chi ha visto e apprezzato una serie come Normal People o film come Fresh o Pond Life non significa avere a che fare con una sconosciuta. La sua presenza è un modo di partecipare a questo entusiasmo anche attraverso una serie di modalità che al cinefilo classico sono spesso estranee, come il fatto di seguirla sui canali social».

Sono contro le quote, ma l'industria del cinema deve dare retta alle registe emergenti

È soddisfatto della presenza femminile a Locarno 75, sia davanti sia dietro la macchina da presa?

«Uno degli obiettivi che ci siamo posti quest’anno è quello di avere una maggior presenza femminile rispetto all’anno scorso. Nel 2021, tra i postumi della pandemia, la presenza a ridosso di Cannes e quella veneziana subito dopo, è stata tutta una corsa a perdifiato di cui il pubblico non ha percepito nulla, a parte la limitazione della capienza nelle sale e in Piazza. Quest’anno abbiamo ricevuto meno titoli diretti da donne rispetto all’anno scorso, ma molti di questi titoli ci hanno convinto subito, tanto che a un certo punto della selezione avevamo quasi solo film diretti da cineaste. Ciò non significa però che non ci siano più problemi a questo riguardo, anzi. Se un produttore oggi favorisce l’esordio di una regista, poi però spesso questa fiducia viene meno sul lungo periodo. Si tratta di una situazione alla quale l’industria deve ancora dare delle risposte. Io personalmente, così come tutto il Festival, sono contro le quote, ma è vero che se per tre anni - come suggerito dalla regista Lucrecia Martel - si instaurasse una quota al femminile del 50% a livello di produzione, l’industria non tornerebbe più indietro perché si renderebbe conto che conviene dare retta alle registe emergenti. A livello di cortometraggi questa parità esiste già, scende leggermente a livello di opere prime, si abbassa ulteriormente con il secondo film e purtroppo con il terzo diventa drammatica».

Quindi ben vengano due lungometraggi di registe svizzere in Piazza Grande, anche se si tratta di un’opera prima e di un’opera seconda?

«L’idea principale dietro questa doppia scelta è stata quella di utilizzare la vetrina di Piazza Grande per mostrare che il cinema svizzero con ambizioni da grande pubblico nulla ha da invidiare alle altre produzioni europee. Un film come The Last Dance di Delphine Lehericey potrebbe essere tranquillamente proiettato in una sala di Parigi, di Roma o di Berlino attirando quel pubblico che si ritrova orfano del cinema d’art et d’essai. Ci sembrava quindi importante dire dalla Piazza Grande che il cinema svizzero c’è e sta facendo cose interessanti, come dimostra anche Semret della ticinese d’origine Caterina Mona, ambientato nella Svizzera interna e che tratta il problema dell’integrazione della comunità di rifugiati eritrei. È un film che incarna al meglio una preoccupazione sociale, etica e politica con una nobile e del tutto voluta semplicità rosselliniana. Un film che è però anche un vero e proprio melodramma familiare e nell’anno in cui celebriamo Douglas Sirk, parlare di scontro tra culture e generazioni diverse si pone come una riflessione molto contemporanea». 

Un evento con grandi protagonisti

Il direttore artistico di Locarno 75, Giona Nazzaro, si è soffermato anche su alcuni dei protagonisti della rassegna.

Visionaria Laurie Anderson

«Laurie Anderson è una specie di sogno che si avvera. Negli anni Ottanta, senza che nessuno se ne rendesse davvero conto, lavorava già con i frammenti del post cinema, con l’idea di una narrazione collettiva che era già atomizzata, parcellizzata, nella quale rimane soli il pulviscolo argentato del cinema. Con questi elementi ha creato un’opera unica e multiforme. È in qualche modo un’artista al futuro anteriore: quarant’anni fa ha anticipato tutti gli scenari in musica, teatro, poesia, film e performance che si sono poi aperti ulteriormente. È una visionaria assoluta e oltretutto modesta: ha sempre mantenuto un’accessibilità e una discrezione assolute».

La lezione di Costa-Gavras

«Costa-Gavras per me è uno dei grandi maestri del cinema ed è un peccato che i cinefili della mia generazione si siano dimenticati un po’ troppo facilmente di lui. Siamo di fronte a un cineasta straordinario e tanto più straordinario se si osservano i suoi film a partire da Hanna K. (1983: ndr.), cioè dopo la sua eccezionale stagione di capolavori uno dietro l’altro, poiché in un momento in cui il mondo prestava meno attenzione del solito, lui non abbandona la presa su un cinema formalmente esigente, non cede alla lusinga “da me vogliono un film politico e glielo dò” ma continua a riflettere sulle forme del cinema».

Sokurov contro il nazionalismo

«Alexander Sokurov sarà in concorso a Locarno con il suo nuovo film Skazka e noi, pur aderendo alle richieste della FIAPF e delle associazioni dei cineasti ucraini, lo abbiamo selezionato poiché si tratta di un film totalmente autoprodotto, che non ha ricevuto un soldo dallo Stato russo, ma soprattutto perché si tratta di un atto di accusa molto forte contro il nazionalismo russo ed è una riflessione amarissima sul XX secolo. Inoltre, al film è stato rifiutato il visto di censura del Ministero russo della cultura e recentemente a Sokurov è stato impedito di lasciare la Russia per tenere delle conferenze. Senza dimenticare che i genitori e il nonno del regista sono stati prelevati dal loro villaggio ucraino dall’Armata Rossa per diventare carne da macello durante la Seconda guerra mondiale. C’erano quindi tutti i presupposti per non rifiutare quest’opera che lascerà un segno profondo nella storia del Festival e perché è il film di un regista che è il più moderno di tutti e lui sarà a Locarno per presentarlo». 

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