Musica

Gli anni Novanta, Internet e la colonna sonora del futuro

Il giornalista e scrittore Valerio Mattioli parla del ruolo della Intelligent Dance Music (IDM) nel definire il mondo attuale, tramite le parabole artistiche di Aphex Twin, Autechre e Boards of Canada
L'album che segna l'inizio della Intelligent Dance Music: Artificial Intelligence (© Warp, 1992)
Michele Castiglioni
28.02.2023 10:00

Gli anni novanta sono stati un momento storico peculiare che ha creato l’immaginario successivo con le sue successive evoluzioni (involuzioni?), trasformazioni, i suoi scarti laterali e le sue fughe prospettiche mutevoli e tutto questo ha un’origine che ancora aspetta di essere raccontata nella sua complessità, forse perché quel periodo sembra ancora essere appena dietro l’angolo, non ancora completamente solidificato. Eppure, qualcuno finalmente sta cominciando a codificarli, a narrarne le traiettorie ed il ruolo che hanno nel presente. Uno di questi è Valerio Mattioli, giornalista (scrive per NERO, è stato tra i fondatori di Prismo, scrive per diverse testate ed è autore di altri due libri Superonda – Storia segreta della musica italiana, 2016 e Remoria. La città invertita., 2019), musicofilo, critico e ossessivo osservatore del contesto. L’anno scorso a suo nome è uscito, per Minimum Fax, ExMachina – storia musicale della nostra estinzione (1992 → ∞), un libro che pone quegli anni – e i due decenni conseguenti – in una prospettiva storica e sociologica inedita. E inquietante. Siamo in presenza di una mitopoiesi di quel periodo e della descrizione di uno Zeitgeist peculiare (pur con i suoi elementi di derivazione). “Effettivamente il libro nasce anche un po’ con quell’intento” ci dice Mattioli “sono passati trent’anni ormai, ma al tempo stesso c’è un motivo per cui continuiamo a sentirli a noi vicini: sono, in sostanza, l’alba dell’era della rete, il tempo in cui arriva internet. E il tempo di internet, come direbbe Manuel Castells, è un “tempo acrono” e quindi il nostro qui e ora del 2023 risiede ancora nella stessa bolla che fu soffiata inizialmente proprio all’alba dei novanta.” D’altronde, in effetti, viviamo una simbiosi con la tecnologia che ci condiziona su molti livelli e le origini della situazione attuale vanno quindi ricercati in quegli anni. “L’avvento di internet ci ha spinti in un nuovo stadio della nostra cultura e del nostro immaginario”.

Autechre, "C / Pach" (℗ Warp Records)

Un periodo di convergenza tra istanze “californiane” (psichedelia, individualismo, voglia di riuscire) e tutto il sentimento gnostico che vedeva nella tecnologia il nuovo “step” evolutivo dell’essere umano. Dice Mattioli: “già all’epoca cominciavano ad apparire alcuni testi che fotografavano l’epoca, come “Techgnosis” di Erik Davis – che ho spesso citato – libro del 1998, che già prefigura la continuità tra la weltanschaaung di quel mondo e un Elon Musk di oggi.”. In qualche modo questo stesso discorso riflette l’atemporalità della cultura online e, d'altronde, l’ultimo capitolo del libro è dedicato ai Boards of Canada che incarnano il “past inside the present” come recita un loro motto. Parliamo della cosiddetta “hauntology” (di “Derridiana” memoria), a più riprese evocata da Mark Fisher e dallo stesso Simon Reynolds, come il passato che “infesta” il presente.

Boards of Canada, "Music is Math" (℗ Warp Records)

Ma come si arriva alla “macchinizzazione” completa evocata nella conclusione del libro, il superamento dell’umano descritto tramite le parabole artistiche di Aphex Twin, Autechre e Boards of Canada? Siamo costretti a constatare la cessione alle macchine della capacità di guardare al futuro, dobbiamo riconoscere una loro indipendenza, un loro modo di comunicare, ragionare, creare per noi inconoscibile (Mattioli parla di una “scatola nera”). Ogni riferimento all’attuale diffusione massiccia delle A.I. è, naturalmente, voluta. E qui si innesta quella “estinzione” del sottotitolo del libro: quella della superiorità umana e del suo status di creatore e controllore. “Certo i dibattiti recenti sulle A.I. hanno riportato in auge l’annoso discorso che dipinge le macchine come incapaci di essere veramente creative. Ma questo è un difetto di prospettiva tutto nostro in qualità di esseri umani. Se decidiamo di dare alla macchina una sua agency allora dovremmo fare anche lo sforzo di attribuirle un’autonomia. E probabilmente alla macchina non interessa essere creativo come lo era Michelangelo.”. Nel capitolo dedicato agli Autechre è questo il nodo centrale: a partire dalle origini della scienza cibernetica, l’obiettivo è sempre stato di simulare l’umano per comprendere la macchina, per poi scoprire che questa prende percorsi propri, imprevisti. “Nelle discussioni sull’intelligenza artificiale torniamo sempre sul fatto che manca loro la creatività. Non rendendoci conto la macchina è una forma di intelligenza differente da noi e non può essere descritta secondo gli stessi parametri.” In questo si contestualizza il duo inglese, con la loro ricerca sulla musica generativa e la loro parabola artistica sempre più determinata dall’osmosi con la macchina. Generando quelli che per noi sono dei “mostri” sonori quasi indecifrabili. È l’espressione della macchina nei nostri confronti. “Sì, specialmente gli ultimi Autechre potrebbero rappresentare l’immanenza dell’ambiente macchinico per quello che è, rispondente solo a sé stesso.” A questo punto, ecco il discorso sulle problematiche globali del tempo presente, dal cambiamento del clima ai fantasmi rievocati dall’attuale guerra in Ucraina, poste da Mattioli come segnali di una “fine dell’uomo” che ha la sua metafora nella presa di potere delle macchine. “Quelle espressioni sonore sono lo specchio riflesso di un processo in atto ormai irreversibile. Quella descritta fra le righe di codice e nella musica che ne consegue è una metafora della nostra fine, intesa come morte della centralità dell’essere umano nei processi di un pianeta riguardo al quale si è sentito padrone per millenni.” Insomma, come spesso è accaduto in passato, la musica sa parlarci in anticipo del tempo a venire.