Storia

I Bourbakis del 1871 e la Svizzera umanitaria

Centocinquant’anni fa il nostro Paese, accogliendo in tre giorni quasi novantamila soldati dell’esercito francese in rotta incalzati dai Prussiani, rivelava la sua vocazione alla pace - Una pietra miliare della neutralità immortalata da un’opera d’arte spettacolare e leggendaria
© JP. Neri (Foto) /Edouard Castres (Panorama) / Wikipedia
Matteo Airaghi
Matteo Airaghi
30.01.2021 06:00

«Bourbaki»: basta essere andati a Lucerna almeno una volta per avere l’impressione di averlo già sentito quello strano nome dalle assonanze greco-francesi. E in effetti il generale Charles Denis Souter Bourbaki (1816-1897) era il figlio di un protagonista dell’indipendenza greca anche se è per il suo eroico ma sfortunato ruolo di generale dell’Armata francese dell’Est nella guerra franco-prussiana se è passato alla Storia, dando il nome ad un’opera d’arte pressoché unica nel suo genere, il «Panorama Bourbaki». Ma andiamo con ordine perché sono almeno tre le prospettive da cui si può raccontare questa storia di centocinquant’anni fa tanto importante per l’identità del nostro Paese: quella della più ampia vicenda ottocentesca europea, quella legata alla grandiosa operazione di assistenza e al ruolo della Svizzera neutrale in senso umanitario e quella artistica visto che la tragica epopea dei «Bourbakis», come furono popolarmente chiamati quegli sventurati soldati della neonata Terza Repubblica, deve la sua aura di leggenda all’impresa memorabile del pittore ginevrino Édouard Castres.

L’esito della guerra

Siamo dunque all’epilogo della breve e brutale guerra franco-prussiana del 1870-1871 che tante conseguenze lascerà nei rancori e nelle tensioni tra i due grandi vicini/avversari d’Europa fino alla tragedia della Seconda guerra mondiale. È il conflitto che vede la fine, dopo la sconfitta di Sedan, di Napoleone III e delle sue ambizioni imperiali e quello da cui scaturisce l’esperienza sanguinosa e rivoluzionaria della Comune di Parigi, stroncata con un massacro. Esiliato l’imperatore nel settembre del 1870 nasce dunque la Terza Repubblica che, nonostante l’evidenza, decide di proseguire in un conflitto senza speranza. Per distogliere la pressione di Bismarck su Parigi, i francesi cercano nel cuore dell’inverno una generosa quanto disperata controffensiva nella parte orientale dell’Esagono, affidando quello che resta delle loro forze (circa 150.000 uomini) proprio al generale Bourbaki. E qui in entra in gioco il nostro Paese. Dopo qualche successo iniziale infatti Bourbaki viene sconfitto senza appello dal generale Werder il 17 gennaio 1871 nella battaglia della Lisaine e il suo esercito, praticamente accerchiato dai Prussiani che ne provocano la fuga e poi la rotta nel gelo invernale della Franca Contea, vaga verso il confine svizzero.

Mobilitazione nazionale

Accade così l’evento più temuto dalle autorità federali e cantonali elvetiche. Non bisogna dimenticare infatti che in quel momento la Svizzera è un Paese di nemmeno tre milioni di abitanti, giovane (politicamente e istituzionalmente almeno), povero e profondamente rurale e in cui gli equilibri costituzionali e la vocazione alla neutralità devono ancora essere messi davvero alla prova della Storia. Anche la neonata Croce Rossa Svizzera deve consolidarsi dal punto di vista operativo e organizzativo e allo scoppio delle ostilità tra i due giganti confinanti, lancia un appello «a tutto il popolo svizzero, ai suoi organi nazionali e a tutti coloro che hanno a cuore il bene pubblico», incoraggiando la formazione di comitati di soccorso nei Cantoni che ne sono ancora sprovvisti. Ma al precipitare degli eventi, quando ormai lacera, affamata e in preda alla disperazione l’armata di Bourbaki ripiega sulla vicinissima Pontarlier, gli interrogativi si moltiplicano. La neutralità della Svizzera sarà rispettata? La battaglia finale si consumerà sul suolo elvetico? I soldati mobilitati alle frontiere (il Consiglio federale aveva disposto preventivamente una mobilitazione parziale dei riservisti di Vaud, Neuchâtel e Ginevra a copertura del Giura, al comando del generale Hans Herzog) dovranno difendere il territorio patrio con le armi? Ma ecco che, esattamente centocinquantanni, fa una coraggiosa e geniale operazione politica, miltare e organizzativa risolve in maniera pacifica la drammatica situazione. Dopo richiesta formale francese del 28 gennaio da Berna arriva in forza di un’apposita convenzione firmata nel villaggio di Les Verrières, nel canton Neuchâtel, il via libera ad una imponente operazione umanitaria. La Svizzera accoglie l’intera armata Bourbaki, compreso lo stesso generale gravemente ferito dopo il tentativo di suicidio del 26 gennaio (il nostro si salverà e vivrà ancora a lungo). Dalle prime luci dell’alba livida e gelida del 1. febbraio 1871, in sole 72 ore, ben 87.847 soldati francesi allo stremo, con oltre 12.000 cavalli, entrano in Svizzera, dopo aver abbandonato armi e munizioni sul confine, e si consegnano ai reparti elvetici. Questa stupefacente ed esemplare manovra rappresenta senza dubbio la più grande opera di accoglienza mai realizzata in Svizzera. Oltretutto con i mezzi e il contesto sociale ed economico di allora. L’ingresso avviene senza sosta per tre giorni dai valichi di Les Verrières, di Sainte-Croix, di Vallorbe e della Vallée de Joux e gli internati vengono prontamente evacuati anche coi treni.

Missione virtuosa

Gli abitanti dei cantoni di Vaud e Neuchâtel sono in prima linea per soccorrere i soldati sfiniti dal freddo, dalla stanchezza e dalla fame. Si precipitano a distribuire viveri, vestiti, coperte, scarpe e legna da ardere. Circa 5.000 feriti gravi o malati sono immediatamente trasferiti negli ospedali, gli altri continuano il loro viaggio all’interno del Paese, dove saranno ospitati per un periodo di circa due mesi in ben 188 località e Comuni di tutto il Paese, ad eccezione del Ticino. Per il semplice fatto che non esiste ancora una linea ferroviaria in grado di trasportarli in modo sicuro. Anche molti feriti o sbandati tedeschi vengono soccorsi e curati segnando così, in modo glorioso e leale, la via alla neutralità del nostro Paese e all’opera della Croce Rossa che invia personale curante e beni di soccorso materiali sui campi di battaglia: religiose, medici e infermieri svizzeri si occupano dei soldati feriti negli ospedali e nelle ambulanze dei due eserciti belligeranti, mentre i delegati cantonali organizzano collette pubbliche. Le donazioni in denaro e in natura sono distribuite ai soldati feriti di entrambe le fazioni, alla colonia svizzera di Parigi e ai civili evacuati dalla città di Strasburgo. Così, giusto centocinquant’anni fa, la Confederazione abbraccia per sempre una missione virtuosa a livello internazionale. Di fronte all’Europa e al mondo intero, con un’operazione e uno sforzo inimmaginabile anche dal punto di vista logistico, la Svizzera consolida il suo principio di neutralità, che si rivela utile e benefico. Un’impresa di solidarietà che merita di essere celebrata da qualcosa di altrettanto grandioso idea che si concretizza, dopo dieci anni di lavori, nella monumentale tela circolare (lunga 112 metri e alta 14) del pittore ginevrino Édouard Castres. Lui che, volontario soccorritore in quell’alba del 1. febbraio 1871, all’epopea dei «Bourbakis» di cui fu testimone oculare dedicò il suo capolavoro.