I cinquant’anni di CEMEA e la lezione di Gianni Rodari

Ho seguito con interesse la produzione di un cofanetto pubblicato dalle edizioni «Dino e pulcino» per i Centri d’esercitazione ai metodi dell’educazione attiva (CEMEA), associazione che riunisce insegnanti favorevoli ad un’educazione che, partendo dalle potenzialità del bambino e dell’individuo in generale, risponda il più possibile ai suoi bisogni e contribuisca alla realizzazione delle condizioni necessarie al suo attivo e positivo inserimento nella vita e nella società. Un’associazione che, per celebrare i cinquant’anni di presenza in Ticino, ha scelto di pubblicare nove piccoli libri che illustrassero i principi fondanti di un pensiero educativo fuori dalle mode e per capire il quale possiamo rileggere autori come Dewey (Democrazia e educazione è del 1916). La scrittura degli autori ospiti del progetto è significativa e di qualità: Maria Rosaria Valentini, Alberto Nessi, Betty Colombo, Roberto Piumini, Luca Chieregato le studentesse e gli studenti, futuri insegnanti della SE, gli allievi della SE di Massagno seguiti dai loro insegnanti Massimo Bonini, Simone Bellini, gli allievi della scuola elementare di Vezia e delle medie di Giornico si sono prodigati sviluppando storie nelle quali emergesse l’importanza della fiducia, della cura, dell’ascolto, del rispetto e della protezione, dell’accoglienza, dell’esperienza, della libertà d’espressione.
Il libro degli errori
Dopo aver seguito la presentazione, ho dedicato del tempo per rileggere un autore che si è trovato a lavorare in contesti educativi affini ai valori citati, e del quale in questi giorni ricorrono i cento anni dalla nascita: Gianni Rodari.
Nel 1964 Rodari ha scritto Il libro degli errori, composto da filastrocche e pubblicato da Einaudi. Molti lettori si ricorderanno la storia della mucca descritta da un bambino che non ne ha mai vista una: «La mia mucca è turchina / si chiama Carletto / le piace andare in tram / senza pagare il biglietto». Un testo nel quale Rodari riesce a far sorridere il lettore adulto, offrendo l’occasione per riflettere sul «tema libero», per molto tempo proposto nella scuola come se l’educazione linguistica potesse sbocciare dall’incanto dalla fantasia, senza tener conto della complessità insita nell’invenzione di una storia e nella stesura del testo; la filastrocca conosce infatti una chiusa d’innocenza infantile che risuona come un monito all’adulto: «Signor maestro, il mio tema / potrà forse meravigliarla: / io la mucca non ce l’ho, / ho dovuto inventarla».
L’arte del fantasticare
Com’è possibile scrivere un pensiero, senza le idee, senza un’enciclopedia di riferimento? Per Gianni Rodari non è difficile scrivere una filastrocca, perché nel suo sistema, sostenuto dalla sua enciclopedia, fa il suo mestiere di scrittore. Ma nella realtà è davvero raro che un bambino riesca, da solo, a rintracciare le idee, la struttura, le parole, la melodia del testo come un piccolo Rodari. Quante volte ci siamo ritrovati, come scolari a «inventare e scrivere il finale della storia», e riscrivere la fiaba scegliendo il punto di vista dell’antagonista, senza gli strumenti di lavoro che avrebbero permesso di orientarci e lavorare nei processi?
Rodari intitola il suo «quaderno di fantastica» Grammatica della fantasia, perché l’arte del fantasticare ha bisogno proprio di regole e di saperi. Nel 1966 scrive che «In tanti parlano del tema libero senza aver mai capito di cosa si tratti, mettendo nelle mani di un bambino un foglio di carta e una penna biro e gli dicono Scrivi quello che vuoi. Intuiscono l’ora del testo libero accanto all’ora del dettato ortografico, all’ora di geografia ecc... nemmeno sospettando che il testo libero possa nascere da un lento e delicato processo...».
I bambini possono rendersi attivi intellettualmente grazie alla coooperazione con i compagni e con l’adulto, partecipando alla piccola bottega dove si genera e si struttura la storia, la si pianifica, si mettono le parole, prima di mettersi a scrivere. È un tuffo nella complessità del sistema narrativo e delle fasi che ne sostengono la realizzazione. Senza modelli di riferimento (linguistici, letterari, di approccio), la missione non è possibile.
Bombe, tombe, torte
Se pensiamo al lavoro svolto da Gianni Rodari nella stesura del romanzo La torta in cielo, nata dall’incontro dell’autore, nel 1964, con gli scolari di quinta elementare di Maria Luisa Bigiaretti, possiamo ben figurarci il coinvolgimento dei bambini, il bisogno di interagire, sperimentare, capire, laddove l’esperienza si fa educativa quando espande, arricchisce il pensiero. La torta si presenta nel cielo sopra il quartiere del Trullo. Potrebbero essere dei marziani, degli invasori. Tutti gli abitanti devono rifugiarsi negli scantinati, ma Paolo e Rita, curiosi come sono, riescono a confondersi tra le pecore come Ulisse che fugge dal Ciclope, per intrufolarsi nella torta, dove scoprono una specie di Geppetto-scienziato. In questa storia le bombe diventano torte e l’opera rappresenta un mondo degli adulti perdente, in realtà poco democratico, di fronte all’autenticità e alla forza spensierata dell’infanzia. Nelle scene abbiamo richiami ai miti, alle fiabe; il telefono assume il ruolo del piffero di Hamelin nella chiamata a raccolta dei bambini che si abbuffano nel finale, quando si mangiano la torta «atomica».
Immaginare mondi in cui le bombe non diventano tombe ma torte significa aprire sguardi su utopie di cui abbiamo bisogno. E se l’ambiente nel quale cresce ad esempio un bambino è nutrito da linguaggi, parole, diversità di punti di vista, contrasti edificanti, è probabile che diventerà un adulto capace di stare nel conflitto.
La democrazia, che richiede di essere attivi e che si gioca sui conflitti e sui punti di vista, è in crisi proprio perché si regge sulla collaborazione di tutti, in un equilibrio precario delle nostre storie alle quali cerchiamo di dare voce. Per questo l’esistenza di CEMEA non è da leggersi distrattamente: CEMEA è una necessità.