Cinema

I mille intensi volti di Bruno Ganz

La carriera dalla caratura internazionale del grande attore svizzero scomparso a 77 anni
Bruno Ganz (1941 - 2019). (Foto Keystone)
Fabrizio Coli
18.02.2019 06:00

C’era il teatro nel suo essere grande attore, una passione e una vocazione mai abbandonata neanche dopo i riconoscimenti internazionali e i film - tanti, oltre un centinaio - che hanno portato quel volto dall’aria triste e intensa a diventare uno dei simbolo del nuovo cinema tedesco e il più conosciuto attore del nostro Paese dalla metà degli anni ’70. È stato dunque con grande cordoglio che sabato il mondo del cinema non solo elvetico ha appreso la notizia della morte di Bruno Ganz, spentosi all’età di 77 anni dopo la lotta contro la malattia, un tumore che alla fine se l’è portato via ma non gli ha impedito di lavorare fino all’ultimo.

Lui, svizzero di madre italiana, figlio di un operaio, nato a Zurigo il 22 marzo del 1941, ha avuto in Berlino una stella polare. Là prende parte all’avventura teatrale della Schaubühne con Peter Stein ed Edith Clever. Là, in Germania, l’incontro con uno dei registi ai quali è indissolubilmente legato il suo nome, Wim Wenders, che lo vuole in L’amico americano (1977) tratto da Patricia Highsmith. È il terzo film della carriera cinematografica di Ganz, iniziata l’anno prima con Lumière, scene di un’amicizia fra donne di Jeanne Moreau e La Marchesa von... di Eric Rohmer. Wenders lo vorrà di nuovo, in uno dei film ai quali l’attore ha legato la sua notorietà, l’iconico Il cielo sopra Berlino (1987), con Ganz nel ruolo dell’angelo Damiel e ancora in Così lontano, così vicino nel 1993.

Molti i grandi registi del suo percorso, coronato nel 2010 dal Premio alla Carriera conferitogli dall’European Film Academy e punteggiato di tanti altri riconoscimenti come i numerosi premi del cinema svizzero conquistati. Scorrere il suo curriculum è scorrere una parte recente della storia del cinema europeo e non solo, dove compaiono nomi come quelli di Herzog che lo volle in Nosferatu (1979), Tanner in Dans la ville blanche (1983), Angelopoulos in L’eternità e un giorno che conquistò la Palma d’oro al Festival di Cannes nel 1998, il Coppola di Un’altra giovinezza, (2007), Demme in The Manchurian Candidate, Ridley Scott per The Consuelor (2013). È stato Tiziano Terzani in La fine è il mio inizio di Jo Baier e lo scorso anno era a Cannes con Lars von Trier per The House that Jack Built. Memorabile protagonista maschile della commedia Pane e tulipani di Silvio Soldini (2000), ha lavorato anche con Villi Hermann in Bankomatt. (1989). E fra i ruoli più intensi e indimenticabili non si può non citare quello di un Adolf Hitler prossimo alla fine in La caduta di Oliver Hirschbiegel del 2004. Poteva passare dal dramma alla commedia a film nazionalpopolari come Heidi di Alain Gsponer del 2015.

«Anche nei ruoli più cattivi Bruno Ganz e i suoi personaggi brillavano sempre di umanità. Questo è ciò che ha reso il suo lavoro così significativo: era eterogeneo e quindi sconvolgente» ha commento il consigliere federale Alain Berset. E a piangere la scomparsa di Ganz non poteva che esserci anche la Berlinale. Un Festival che ha frequentato molto e che lo ha ricordato sabato in chiusura della 69. edizione. «Ha ispirato generazioni di amanti del cinema», ha sottolineato il direttore uscente Dieter Kosslick, «adesso è davvero nel cielo sopra Berlino».