Il Boss nel reame della musica «black»
Da quando è stato annunciato che Springsteen, ovvero l’autore di alcune delle canzoni più importanti degli ultimi cinquant’anni, avrebbe realizzato un album di sole cover, il popolo dei suoi seguaci è entrato in agitazione. Da una parte la consapevolezza che la E-Street Band è, anche, il miglior gruppo di cover in circolazione, una macchina da guerra capace di passare da Otis Redding ai Clash, dagli Animals a Jerry Lee Lewis. E poi c’è il bel precedente delle Seeger Sessions, raccolta di brani tradizionali rivitalizzati con nerbo e gusto. Dall’altra l’amarezza di chi, invece, si aspettava una nuova raccolta di brani autografi del poeta rock del New Jersey. Dal canto suo il Boss ha dichiarato: «Volevo fare un album in cui cantare e basta. E quale musica migliore, per fare tutto questo, se non il repertorio americano degli anni Sessanta e Settanta? Ho preso ispirazione da Levi Stubbs, David Ruffin, Jimmy Ruffin, the Iceman Jerry Butler, Diana Ross, Dobie Gray, Scott Walker, tra gli altri. E ho provato a rendere giustizia a tutti loro e a tutti gli spettacolari autori di questa musica gloriosa. Il mio obiettivo è permettere al pubblico moderno di fare esperienza della bellezza e gioia di queste canzoni, così come ho fatto io fin dalla prima volta che le ho sentite. Spero che amiate ascoltarle tanto quanto ho amato io realizzarle».
Sarebbe tutto molto bello e gioioso e pure giocoso, un po’ come quando Huey Lewis & the News (band da rivalutare pure se non vi chiamate Patrick Bateman, vedi American Psycho) incisero Four Chords & Several Years Ago, brillante raccolta di classici degli anni Cinquanta e Sessanta rivitalizzati. In questo caso, per quanto riguarda la voce del settantatreenne Bruce niente da dire: è in piena forma e il suo timbro graffiante ben si addice a questa manciata di pezzi cantati, in origine, da Ben E. King (Don’t Play That Song), William Bell (Any Other Way e I Forgot To Be Your Lover), Frankie Valli (anche se la versione di riferimento della splendida The Sun Ain’t Gonna Shine Anymore è quella dei Walker Brothers), Four Tops (When She Was My Girl e 7 Rooms Of Gloom), Temptations (I Wish It Would Rain), perfino Supremes (Someday We’ll Be Together: The Boss come Diana Ross, chi l’avrebbe mai detto?) e Commodores (ma Nightshift non è uno dei pezzi più memorabili della band, già priva di Lionel Richie). Ma la E-Street Band, la gioiosa macchina da guerra... non c’è! Le basi sono state realizzate in solitaria dal produttore Ron Aniello che suona, praticamente tutto e non bastano gli apporti di archi e di una sezione di fiati a togliere quella patina artificiale. Ma ascoltatelo senza darvi troppi pensieri e preparatevi: dice «Covers vol. 1».