Cannes

Il dramma invisibile della Shoah e la neve che non isola dalla realtà

Il regista britannico Jonathan Glazer propone in concorso un’opera che evoca l’orrore dell’Olocausto senza mostrarlo Il maestro turco Nuri Bilge Ceylan torna invece tra le montagne della sua Anatolia per narrare una storia a metà strada tra poesia e denuncia politica
© KEYSTONE (Photo by Vianney Le Caer/Invision/AP)
Antonio Mariotti
20.05.2023 08:27

Ci sono temi che sembrano ormai «esauriti» al cinema poiché si ha l’impressione che tutto sia ormai già stato detto. L’Olocausto sembrava uno di questi, ma ieri a Cannes il regista britannico Jonathan Glazer ha dimostrato che non è così, offrendoci un film dove neppure un fotogramma è occupato dalle immagini drammatiche della Shoah, ma tutto passa attraverso il suono che si rivela altrettanto forte e ricco di suggestione delle immagini. Ispirandosi all’omonimo romanzo del suo connazionale Martin Amis, in The Zone of Interest Glazer mette in scena la vicenda di Rudolf Höss, primo comandante del campo di concentramento di Auschwitz che vive con la famiglia in una villa dotata di un ampio giardino e persino di una piscina a poche decine di metri dagli hangar dove ogni giorno vengono sterminati migliaia di ebrei. Il film, recitato in tedesco e interamente girato in Polonia, mette in primo piano la figura della moglie del gerarca che, nel momento in cui il marito viene trasferito altrove per motivi di servizio, rifiuta di seguirlo e di abbandonare quel «paradiso terrestre», come lo definisce lei stessa, rimanendovi insieme ai figli piccoli, alla servitù e al fedele cane da guardia. Proprio il personaggio della metodica e ambiziosa Hedwige (interpretata dall’attrice tedesca Sandra Hüller) diventa il simbolo della piccola borghesia hitleriana che vede nell’infernale macchina dell’Olocausto soltanto un mezzo per migliorare la propria condizione sociale ed è quindi pronta a tapparsi letteralmente le orecchie pur di non udire le urla di dolore, gli spari, il ringhiare dei cani tenuti al guinzaglio dalle SS o l’incessante andirivieni dei treni merci carichi delle vittime designate. Glazer rafforza questo contrasto tra paradiso e inferno sfruttando le ambientazioni naturali della regione (laghi, fiumi, boschi) che diventano il parco dei divertimenti degli aguzzini e delle loro famiglie. La sensazione di orrore è veicolata, come detto, in primo luogo dal suono ma vi contribuiscono anche le musiche inquietanti di Mica Levi e alcune sequenze notturne che vedono come misteriosa protagonista una ragazzina. The Zone of Influence è quindi il primo titolo del concorso 2023 che rischia di finire sui calepini della giuria.

Un villaggio fuori dal mondo

Ci sono registi che, film dopo film, forse raccontano sempre la stessa storia ma ogni volta, anche a distanza di anni dalla loro ultima opera, riescono a far reimmergere dopo appena pochi minuti lo spettatore nel loro mondo estremamente personale . Uno di questi maestri (non molto numerosi nell’ambito del cinema contemporaneo) è il turco Nuri Bilge Ceylan, 64 anni, più volte premiato sulla Croisette dove si è aggiudicato una Palma d’oro nel 2014 con Il regno d’inverno. E anche il suo nuovo lungometraggio, Les herbes sèches, ha per gran parte un’ambientazione invernale. Il cineasta torna infatti a raccontare una storia che si svolge tra le montagne innevate dell’Anatolia e, come spesso capita nei suoi film, a dare il via alla narrazione è l’arrivo di un personaggio che in qualche modo metterà in crisi il normale andamento delle cose. In questo caso, a scendere da un minibus e a incamminarsi verso un villaggio isolato, è Samet, docente di scuola media che non ha scelto di insegnare in questo luogo sperduto ma si è assoggettato al regolamento sperando così, dopo quattro anni di «esilio », di ottenere un posto di lavoro fisso a Istanbul. Dopo le vacanze natalizie, Samet ritrova Kenan - suo collega e coinquilino nella stessa sua situazione - ma soprattutto ritrova un ambiente chiuso su se stesso, dove le sue idee vagamente di sinistra sono costantemente fonte di sospetto per i superiori. Non a caso, Samet e Kenan – che cercano di instaurare un rapporto meno autoritario con i propri allievi – saranno ingiustamente accusati di molestie da parte di due ragazze. Capiscono allora che il loro trasferimento nella grande città è davvero a rischio, sprofondando così in uno stato depressivo che pare privo di sbocchi. Nuri Bilge Ceylan mette in scena con estrema chiarezza questa storia che ha sì dei risvolti letterari (nella parte finale del film non manca la voce fuori campo del protagonista) ma che vive soprattutto di contrasti. Quello tra gli spazi esterni, che diventano infiniti grazie alla presenza della neve che cancella le tracce del paesaggio, e quelli interni, ristretti e spesso oscuri; ma soprattutto quello tra la dimensione personale dell’esistenza e quella sociale e politica. Una contraddizione da sempre presente nella poetica di Ceylan e che si fa ancora più forte nella Turchia di oggi.