La riflessione

Il ginepraio delle citazioni e le semplificazioni insensate

Complici web e social, l'annosa questione delle frasi celebri inventate o attribuite alle persone sbagliate è letteralmente esplosa
© AP Photo/Sebastian Scheiner
Roberto Cotroneo
21.04.2022 06:00

Da un po’ di giorni sono in molti a citare una frase. Lo fanno intellettuali, storici, e persone preoccupate del destino della nostra cultura europea, nel momento in cui dovremo investire di più in strategie di difesa. Che ne sarà di questa vecchia Europa che riteneva di aver archiviato una nuova guerra nei propri territori? Cosa resterà dei libri e dell’arte? E allora c’è una citazione davvero suggestiva che circola, di Winston Churchill. Quando in piena Seconda guerra mondiale si fece notare al primo ministro inglese che si dovevano destinare meno fondi alla cultura per dirottarli sul conflitto, Churchill rispose: «Ma allora per cosa stiamo combattendo?». È una bella risposta. Peccato che Churchill non l’abbia mai pronunciata. Anzi, si è espresso in favore di forti investimenti sulla guerra: «Nel creare un esercito sono necessarie tre cose: uomini, armi e denaro». L’annosa questione delle citazioni non controllate è davvero infinita. Ma negli ultimi anni – complici web e social – è praticamente esplosa. Il mondo è pieno di citazioni attribuite a persone sbagliate. Farò degli esempi. Incominciando dalla celebre citazione di Voltaire sulla tolleranza: «Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo». Voltaire non ha mai scritto questa frase. Quella che gli assomiglia di più è «non ho mai approvato né gli errori del suo libro, né le verità banali che afferma con enfasi. Però ho preso fortemente le sue difese, quando uomini assurdi lo hanno condannato». Che è del tutto diversa. Perché Voltaire ragiona del particolare, e non teorizza un principio generale: si difenderebbe fino alla morte il diritto a dire frasi razziste, il diritto di giustificare gli sterminii, le deportazioni? Celebre è anche la frase pronunciata da Galileo Galilei dopo l’abiura davanti alla Chiesa della sua teoria elio-centrica: «Eppur si muove». Questa frase non esiste, è stata inventata assai dopo, precisamente nel 1757, da Giuseppe Baretti in un’antologia pubblicata a Londra dove si ricostruiva la vita di Galileo. Arthur Conan Doyle non ha mai scritto «Elementare Watson».

A Mark Twain è stato attribuito tutto quello che è stato scritto e detto di spiritoso da più di un secolo. Quasi sempre sbagliato. La sua più celebre:«Preferisco il Paradiso per il clima, ma l’Inferno per la compagnia», non esiste. L’avrebbe pronunciata in un discorso del 1901, ma non era sua. Il primo a dirla fu il politico americano Benjamin Wade. Famoso per essere stato derubato di una battuta dal grande Mark Twain più che per meriti strettamente politici. Ma non basta. Nicolò Machiavelli non scrisse nel Principe la frase: «il fine giustifica i mezzi». Qualche volta si scambiano le frasi. George Orwell scrisse, secondo una vulgata assai citata che «dire la verità è un atto rivoluzionario», e che la frase si ritroverebbe nel suo romanzo 1984. Ebbene, non c’è affatto. In realtà queste parole le ha scritte in una forma lievemente diversa, Antonio Gramsci, nel 1919: «Dire la verità, arrivare insieme alla verità, è compiere azione comunista e rivoluzionaria».

L’immancabile Eco

E non può mancare Umberto Eco. C’è una frase citata all’infinito e attribuita all’autore de Il nome della rosa: «Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto cinquemila anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito, perché la lettura è un’immortalità all’indietro». Non c’è niente del genere negli scritti di Eco. Semmai una frase simile, ma assai più sottile e colta: «Non ce ne rendiamo conto, ma la nostra ricchezza rispetto all’analfabeta (o di chi, alfabeta, non legge) è che lui sta vivendo e vivrà solo la sua vita e noi ne abbiamo vissuto moltissime. Ricordiamo, insieme ai nostri giochi d’infanzia, quelli di Proust, abbiamo spasimato per il nostro amore ma anche per quello di Piramo e Tisbe, abbiamo assimilato qualcosa della saggezza di Solone, abbiamo rabbrividito per certe notti di vento a Sant’Elena e ci ripetiamo, insieme alla fiaba che ci ha raccontato la nonna, quella che aveva raccontato Shahrazād». La sostanza non cambia di molto. Ma il racconto di Eco è assai più letterario. Non si tratta di viaggiare nel tempo, all’indietro, come in una serie televisiva. Si tratta di muoversi dentro i nodi e le fantasie della letteratura. Ma questo è un mondo che semplifica sempre. Anche quando non ce ne sarebbe bisogno.