Il mondo fragile e incantato dei cacciatori di tartufi nelle Langhe

Aurelio (84 anni) vive con Birba, la sua cagna che tratta meglio di un essere umano, e non avendo eredi i suoi segreti lo seguiranno nella tomba. Carlo (88 anni) non esita a uscire dalla finestra della sua stanza in piena notte per andare a caccia con la fedele Titina mentre la moglie lo supplica di smetterla. Angelo (78 anni) ed Egidio (83) sono cugini, abitano a pochi chilometri l’uno dall’altro ma non si parlano da decenni: il primo ha smesso di cacciare a causa di tutto quel di negativo che ruota attorno al mondo del tartufo, il secondo ha speso tutta la vita alla ricerca del segreto per coltivare il prezioso tubero, coinvolgendo scienziati e studiosi di spiritualità. Sono solo alcuni dei protagonisti del documentario The Truffle Hunters che i giovani registi americani Michael Dweck e Gregory Kershaw hanno girato, sull’arco di tre anni, tra i boschi secolari delle Langhe piemontesi sulle tracce di una schiera di arzillissimi vegliardi che custodiscono gelosamente un segreto che vale più dell’oro: quello riguardante i luoghi dove cresce il tartufo bianco d’Alba, l’ingrediente più costoso per la cucina a livello mondiale.
Fuori dalla società digitale
Il film, presentato ai festival di Telluride e Toronto e premiato a diverse riprese, traccia con gusto ed ironia una serie di ritratti assolutamente appassionanti di persone che vivono tranquillamente al di fuori della società digitale privilegiando il rapporto diretto con la natura e con i propri amati quadrupedi e i contatti personali in contesti dove tutti conoscono tutti ma ciascuno rispetta la privacy altrui. D’altra parte, però, gli autori puntano con decisione il dito contro i problemi che rendono questo mondo estremamente fragile: la mancanza di un ricambio generazionale sicuro, i cambiamenti climatici, la deforestazione e l’uso spregiudicato del territorio anche da parte degli agricoltori. Tutti fattori che mettono a serio repentaglio la sopravvivenza a lungo termine del tartufo bianco, nonostante la crescente richiesta del mercato globale (che ha portato a una irrefrenabile impennata delle cifre che i compratori sono disposti a spendere) influenzata dalla scarsità della materia prima.
La cinepresa invisibile
Il film è composto da una serie di frenetici piani-sequenza girati durante le battute di «caccia» alle quali fanno da contraltare momenti più tranquilli tra le mura domestiche o nei momenti di vita quotidiana. In tutti questi casi colpisce l’assoluta «invisibilità» della macchina da presa che rende del tutto spontaneo il comportamento dei protagonisti. Segno innegabile che col tempo i due registi e i loro collaboratori (tra cui una coproduttrice italiana che ha fatto da prezioso tramite a livello linguistico) hanno saputo istituire un rapporto di assoluta fiducia con i loro «attori». The Truffle Hunters, a parte una geniale trovata a livello di riprese che merita di essere segnalata (vedi qui sotto), non sottovaluta né il trattamento delle immagini (soprattutto le scene girate in interni assumono spesso toni pittorici), né quello della colonna sonora: il sound designer Stephen Urata combina infatti magistralmente i suoni della realtà (l’abbaiare dei cani, gli scampanii, il frusciare del vento) dando origine a a una partitura di grande suggestione.

Quelle immagini filmate da cani
Michael Dweck e Gregory Kershaw se ne sono resi conto fin da subito. Per comunicare l’eccitazione e la difficoltà che si respira durante ogni battuta di «caccia» non sarebbero bastate le immagini girate da loro stessi seguendo i cacciatori. Bisognava in qualche maniera coinvolgere in questa operazione anche Birba, Biri, Fiona, Charlie, Nina, Titina e Yari: i loro inseparabili cani da tartufo. Se l’apparecchiatura tecnica di piccolissime dimensioni (videocamera, microfoni) è facilmente disponibile, per mesi i registi hanno effettuato ogni genere di prova per risolvere il problema del fissaggio degli apparecchi al corpo dei cani senza provocare loro alcun danno fisico. Alla fine, dopo innumerevoli tentativi con aggeggi sempre più sofisticati dall’esito catastrofico (non certo per colpa degli animali), a trovare la soluzione più efficace è stato un calzolaio piemontese. L’artigiano ha realizzato delle mini bardature in cuoio su misura per la videocamera che si allacciavano senza alcun problema attorno alla testa dei cani. Più semplice di così.