Il poetar diffuso e il Teorema di Thomas

Il mondo attorno ad Albert Einstein è pieno di citazioni e frasi che probabilmente lui non ha mai detto. Tra le più famose c’è questa: «non avrete capito fino in fondo una teoria se non sarete in grado di spiegarla a vostra nonna». Non so se sia vera, ma di certo è molto bella. Mi sono chiesto più di una volta se si possa spiegare alla nonna la relatività ristretta. E forse si può. Mi chiedo però se invece sia possibile spiegare alla nonna la poesia con-temporanea, che di solito riflette la complessità del nostro vivere, i fili esistenziali che regolano le nostre vite.
Con il nuovo isolamento pandemico si moltiplicano in Rete iniziative che sono sempre esistite ma che da un po’ di tempo a questa parte sono sempre più diffuse. Da un po’ di tempo vengo invitato a partecipare a concorsi di poesia via web e più generalmente a premi letterari. Non sono inviti rivolti a me in quanto scrittore e critico, sono inviti automatici, molto simili allo spam. Forse vengono dal fatto che sul web mi accade di andare su siti letterari, leggere cose che riguardano la poesia, cercare informazioni. Si sa come funziona: tutto è tracciato, e finisce che poi i suggerimenti, ma anche lo spam, si indirizzano a questo. Ma mi sono incuriosito, e ho scoperto che sul web abbiamo circa tre milioni e mezzo di poeti che scrivono versi. Non sarà un dato precisissimo ma somma poesie e autori che bloggano i loro componimenti, che pubblicano con piccoli editori a pagamento o direttamente su Amazon, che continuano a postare sui social. Tre milioni e mezzo di poeti sono tanti, anche se i componimenti per la maggior parte, sono assai lontani dalla poesia, sono emozioni raccontate in qualche modo, sono desideri, soprattutto sono testi dove si va molto a capo. Niente endecasillabi o settenari. Ma leggendo queste poesie mi sono chiesto: riuscirebbero questi poeti improvvisati, questi appassionati di germogli e di tramonti, di carezze e di mari in tempesta a spiegare Eugenio Montale o Sandro Penna alla loro nonna? Non la loro poesia, su cui si dilungano fin troppo. Ma le poesie dei grandi per capire come scrivere poi versi per se stessi.
Dallo scrivere al recitare
Questo poetare sempre più diffuso ha qualcosa a che fare con la solitudine, con l’isolamento, con la paura che ci attraversa un po’ tutti. C’è un rapporto diretto tra lo scrivere versi, e trasformare questi versi in qualcosa di consolatorio se non addirittura di rassicurante. E ormai le poesie, che non sono poesie, scritte da poeti, che non sono poeti, fanno il paio con i monologhi che ormai hanno invaso i programmi televisivi. Tutti dicono, recitano, scrivono monologhi. Il monologo è la forma di espressione più diffusa tra conduttori televisivi, giornalisti, opinionisti, editorialisti, scrittori, e personaggi pubblici. Un tempo i monologhi li scriveva Shakespeare e li recitavano gli attori. Oggi sono una forma di espressione assai glamour, perché tocca il cuore, genera emozioni, sfrutta le pause, mette assieme luoghi comuni, un tuffo nelle figure retoriche, a cominciare dalle metafore, senza esitazioni e senza paure (e si potrebbe aggiungere serenamente, senza ritegno). Per cui siamo diventati un popolo fiero dei propri poeti improvvisati e dei propri autori di monologhi toccanti, li abbiamo ascoltati anche a Sanremo.



L’Effetto Dunning-Kruger
I motivi di tutto questo li sanno da tempo due signori che insegnano alla Cornell University, e che si chiamano David Dunning e Justin Kruger. Hanno elaborato niente di meno che l’Effetto Dunning-Kruger. Si tratta di una distorsione cognitiva a causa della quale individui inesperti tendono a sopravvalutarsi, giudicando a torto le proprie abilità come superiori alle media. Lo chiamano effetto perché non si può considerare certamente una teoria. Ma perché tutti si sopravvalutano e pensano che le loro poesie possano piacere, i loro discorsi possano toccarci il cuore, mentre noi siamo in imbarazzo per loro? La risposta potremmo trovarla nelle pagine di William Thomas, un sociologo della scuola di Chicago, che nel lontano 1928 elaborò «il teorema di Thomas». Che dice: «Se gli uomini definiscono reali le situazioni esse saranno reali nelle loro conseguenze». Se sono su un palcoscenico e parlo, tutto questo è reale, e io sono un oratore, o un retore. Se pubblico poesie sul web e tutti mi applaudono, sono un poeta laureato. Se tutto questo è reale, come dice il teorema di Thomas, le conseguenze saranno reali. E la realtà è ormai questa: avremo milioni di poeti e di scrittori di testi emotivi intensi e potenti, ma nessuno sarà più capace di spiegare Montale alla nonna. E sarebbe questa la cosa più importante.
Un diluvio di versi
Solo a volerci provare ci si perde. Ho provato a immaginare di essere un poeta della domenica, e ho cercato informazioni su come pubblicare i miei versi, anche soltanto online. È stato un diluvio. Siti, concorsi letterari, pubblicazioni cartacee a pagamento, blogger che si offrono di farsi intermediari. Un mondo sommerso impressionante. Ci sono persino quelli che offrono prefazioni toccanti (forse dei monologhi, chi può dirlo), a raccolte di versi, editing a prezzi convenienti, e in un caso ho trovato persino chi propone copertine «professionali, con lettering e immagini di qualità». Tutto è, guarda che caso, a pagamento, Ma un piccolo sacrificio per la gloria poetica andrà pur fatto. Per quel che vale non lo consiglierei a nessuno. Mai pagare: si apre un piccolo blog e i versi si pubblicano senza spendere nulla. Può bastare. E non è detto che il talento, quando c’è, non possa essere scoperto anche in questo modo.