Il punto di svolta dei Tears For Fears

Tutti quanti amano un lieto fine. Ci avevano lasciati così, nel 2004, i Tears For Fears: Everybody loves a happy ending riuniva Curt Smith a Roland Orzabal dopo una separazione durata quindici anni. Il risultato era, artisticamente, modesto, ma per chi aveva amato il duo di Mad World, Shout, Everybody Wants to Rule the World e Sowing the Seeds of Love, il più litigioso dai tempi di Simon & Garfunkel, l’importante era rivedere i vecchi amici assieme, l’importante era il lieto fine. Ma, attenzione: i due erano poco più che quarantenni ed era troppo presto per scrivere «the end». Cosa è successo in tutto questo tempo? I concerti, le riedizioni dei vecchi dischi – e la conseguente promozione – alcuni brani sparsi su compilation e altri progetti, la composizione di nuovi brani con tempi gabrieliani (il «Gabriel» è un’unita di misura temporale musicale variabile, stabilità dall’ex cantante dei Genesis: indica il passaggio di un’era geologica tra un album e l’altro) e, purtroppo, la tragedia. La prematura scomparsa della moglie di Orzabal ha gettato l’artista nella prostrazione e ha ulteriormente rallentato i progetti dei Tears For Fears che, solo ora, hanno pubblicato The Tipping Point e diciamo subito che l’attesa non è stata tradita.

Oggi Smith e Orzabal sono due sessantenni, autori e interpreti maturi che hanno superato mille avversità e si sono curati attraverso il potere lenitivo della musica. Orzabal dice: «Prima che le cose girassero per il verso giusto con questo album, tutto era iniziato nel modo peggiore – ci sono voluti anni – ma qualcosa finisce con il succedere quando le nostre menti entrano in sintonia. Tira da una parte, molla dall’altra, arriviamo a quell’equilibrio grazie al quale tutto funziona al meglio». Smith è d’accordo: «Se quell’equilibrio non viene raggiunto in un album dei Tears For Fears, alla fine non funziona nulla. Per dirla con parole semplici: un disco dei Tears For Fears e il sound che la gente associa ai Tears For Fears sono le cose su cui noi due siamo d’accordo». Ed eccolo, fin dal titolo, quel punto di equilibrio, dalla ballata iniziale No Small Thing (un piccolo capolavoro, quasi folk), passando per la «title track» che rinnova il vecchio sound come Long, Long, Long Time, mentre meno efficace è Break the Man (scelta come primo singolo: se vi hanno parlato di un album che non c’entra niente con i TFF è perché hanno ascoltato solo questa canzone). Glaciale My Demons (non spiacerebbe ai Depeche), delicatissima Rivers of Mercy, intensa Please Be Happy, tutto per arrivare a Stay, la degna conclusione. Un grande ritorno.